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L’arte di Matteo Messori comincia dall’empatia

Onelia Abbracciavento*
L’arte di Matteo Messori comincia dall’empatia

È professore al liceo artistico “Chierici” di Reggio Emilia e nel 2025 esporrà alla Apiece Gallery di Vilnius in Lituania

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«L’empatia è la chiave del mio lavoro, ciò vuol dire esporsi e lasciare che il fare quotidiano altrui entri “fisicamente” nella mia vita e quindi si rifletta nelle mie opere». Artista visivo e professore al liceo Chierici di Reggio Emilia, Matteo Messori spazia dal linguaggio pittorico alle installazioni scultoree. La sua prossima sfida? Una mostra personale a Vilnius, in Lituania, nell’aprile 2025.

Prof, come e quando si è approcciato al mondo dell’arte?

«Da piccolo ho scoperto che il fare manuale mi permetteva di esprimere al meglio le cose che vedevo e che magari volevo immortalare per mostrarle ai miei cari: era il mio modo per comunicare con gli altri. Però la scelta di diventare artista è maturata più tardi a seguito di un evento – che non me la sento di condividere –, capace di segnare totalmente l’approccio che ho con l’arte e la sua produzione».

Quali sono le principali fonti di ispirazione per il suo lavoro?

«Prima di tutto le cose che mi circondano. In particolar modo amo scendere nei dettagli delle personalità umane. L’empatia è la chiave del mio lavoro, ciò vuol dire esporsi e lasciare che il fare quotidiano altrui entri fisicamente nella mia vita e quindi si rifletta nella mie opere. Poi ci sono anche influenze legate a quelli che sono i miei interessi, come la cultura giapponese e tutte le sue propaggini, dai manga alla filosofia Bushido. Anche la natura è fondamentale per me, perché non vi è uomo senza natura».

Come descriverebbe il suo processo creativo? Parte da un’idea specifica o lascia che sia l’istinto a guidarla?

«Ogni volta che lavoro a un nuovo progetto prende piede in me il fare istintivo dettato dalle suggestioni che recepisco. Poi, in un secondo momento, una volta raccolte le informazioni necessarie, mi chiudo in studio e progetto. Preferisco avere delle scadenze brevi perché mi costringono a decidere e ad intraprendere un’unica strada senza lasciarmi il tempo di cambiare idea. Però la chiave del mio processo creativo è sempre l’empatia perché è per me di vitale importanza entrare nei processi mentali degli altri e ciò a volte può significare anche cambiare rotta. Come si sa, la mente umana raramente riesce a essere coerente».

C’è un’opera in particolare che ritiene rappresenti un punto di svolta nella sua carriera?

«Sì. È “La Mascella di Caino” con la quale ho vinto il Premio Combat, per la sezione pittura, nel 2022. Un lavoro importante di dimensioni notevoli ispirato al libro omonimo (di Edward Powys Mathers, ndr) su una serie di omicidi da risolvere. Inoltre le pagine non sono in ordine cronologico e sono sprovviste di numerazione, sfidando il lettore. Ho guardato a questo aspetto come a una sorta di selezione che si rifà, appunto, alla teoria del cainismo, per la quale solo il più forte sopravvive sull’altro. E questa cosa mi sembra essere alquanto attuale nel periodo storico in cui ci troviamo».

Qual è stato il momento più gratificante della sua carriera finora?

«È difficile decidere un singolo momento. Mi è capitato più volte di sentirmi appagato quando hanno coinciso una serie di fattori. Come quando sono andato in Polonia per una residenza d’artista scoprendo persone e metodologie nuove. Oppure quando ho vissuto in Puglia insieme a un gruppo di artisti da tutto il mondo, sempre per una residenza, per fare ricerca su un’unica tematica. A gratificarmi sono le esperienze che vivo grazie a questo lavoro perché mi “saziano” permettendomi di vivere momenti che altre cose di mero valore non possono darmi».

Ha qualche progetto attualmente in lavorazione che può condividere con noi?

«Tra le varie cose sto lavorando a un progetto di mostra personale ambizioso, a cura di Ilaria Sponda, alla Apiece Gallery di Vilnius, in Lituania, che si terrà nell’aprile 2025».

Ci sono nuovi stili, tecniche o collaborazioni che vorrebbe esplorare in futuro?

«Lavoro per lo più con il tessuto, nel dettaglio il jeans, non solo attraverso la pittura. Quindi vorrei sperimentare sempre più modi diversi per rendere ciò che creo attraverso questo materiale. E poi mi piacerebbe molto approfondire il mio lavoro in ruoli diversi come quello di ricercatore, sceneggiatore e regista».

Qual è il suo sogno più grande come artista?

«Poter vivere di quello che amo. Impresa ardua ma con pazienza credo si possa raggiungere. Non voglio la fama o il denaro in sé, anche se sono certo che faccia comodo: la cosa più importante per me è poter vivere condividendo il mio lavoro con più persone possibili, magari facendo gruppo con diversi artisti con uno scopo in comune».

Che consiglio darebbe a chi sta iniziando un percorso artistico?

«Di sperimentare più che può, di cercare la coerenza anche se non la si raggiunge e puntare a stare bene prima di tutto. La militanza rende ciechi. E mai credersi arrivati! E soprattutto ricordarsi che, prima dell’arte, esiste l'uomo».

*Studentessa del liceo Chierici