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Il processo

Un’altra donna accusa il kinesiologo. «Dopo avermi toccato mi disse: avrai capito che mi piaci»

Ambra Prati
Un’altra donna accusa il kinesiologo. «Dopo avermi toccato mi disse: avrai capito che mi piaci»

Al via il processo reggiano a Carlo Robuschi, accusato di violenza sessuale

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Reggio Emilia «Dopo i palpeggiamenti al seno e all’inguine, il dottore mi disse: “Avrai capito che mi piaci, quando vuoi ci sono sempre”». Questa la frase clou del lungo racconto – protetta da un paravento – di una donna reggiana 50enne che accusa il kinesiologo Carlo Robuschi, 63 anni, di violenza sessuale aggravata (dal rapporto medico-paziente). Nega con forza Robuschi: il detenuto presente in aula è parso molto provato e al termine ha abbracciato la moglie.

Il kinesiologo (non un dottore perché non esiste il titolo universitario, la figura è simile al fisioterapista), che aveva un doppio studio a Reggio Emilia in via Che Guevara e a Parma in via Verdi, è già stato condannato in via definitiva a 5 anni e 2 mesi (la sentenza della Cassazione è del 7 marzo scorso) per lo stesso reato a Parma. Ad accusarlo una ventenne reggiana che nello studio ducale, nel 2019, aveva subìto atti sessuali sempre più spinti. Il filone reggiano che si è aperto in tribunale, davanti al collegiale presieduto da Cristina Beretti (a latere Giovanni Ghini e Silvia Semprini) con l’accusa sostenuta dal pm Denise Panoutsopoulos, riguarda un altro caso non unificato con il primo procedimento, perché è emerso in seguito. Un unico episodio, avvenuto il 22 giugno 2021, ai danni di una paziente adulta costituitasi parte civile tramite l’avvocato Samuela Frigeri, presidente del centro antiviolenza di Parma.

In quella visita lo specialista «faceva delle manipolazioni alla gamba. Mi faceva respirare profondamente, era quasi un’ipnosi, poi mi chiedeva di fare un movimento ondulatorio con il bacino – ha detto la donna –. Ero sdraiata, senza reggiseno e con i leggins. Toccò il seno, poi i genitali: subito pensavo a uno sfioramento casuale. Ma c’era qualcosa di strano, quel toccare non aveva nulla a che fare con la fisioterapia. Mi sono fermata e ho aperto gli occhi: lui, capendo il mio dissenso, si è fermato pronunciando quella frase». Poi la richiesta del kinesiologo: “Mi daresti un abbraccio?”. «Era un modo per dire che andava tutto bene: mi sono alzata e l’ho abbracciato». Il controesame degli avvocati codifensori Lucio De Palma e Mario L’Insalata è stato molto teso: incalzata dalle domande, la 50enne ha ammesso che all’epoca viveva un periodo difficile («ho perso in poco tempo madre e padre, ma non ero depressa»); che quello è stato l’unico episodio («le altre 3-4 volte lui è sempre stato corretto») e ha ammesso l’indecisione sulla denuncia, presentata il 26 novembre 2021 («all’inizio ero più propensa a lasciar perdere»).

«Subito dopo la visita ne ho parlato con mio marito, con un’amica, con la mia estetista (che ci è rimasta malissimo perché mi ci aveva mandato lei), con il maresciallo dei carabinieri Biagio Nastasia (che mi avvisò: in assenza di testimoni, il processo sarebbe stato difficile) e con la madre della ventenne». La difesa intende dimostrare come la querela sia stata frutto proprio del clamore mediatico del caso e dell’influenza della madre della ventenne, che avrebbe “orientato” la 50enne. Qualcuno le ha parlato del processo a Parma? «Ho solo raccontato cos’era successo a me, ho saputo dopo della figlia». Se lei non avesse ricevuto l’atto di citazione avrebbe mai sporto querela? «Non lo so. Mi sono sentita aggredita da lui, ho detto basta e ho scelto le vie legali». l © RIPRODUZIONE RISERVATA