Sono 1.918 gli invisibili con residenza in municipio
Si tratta di persone senza fissa dimora che hanno avuto bisogno di cure mediche nella nostra città: per legge si registrano con residenza in Comune. Da gennaio arriva una nuova norma
Reggio Emilia Con i suoi 1918 “inquilini” è senz’ombra di dubbio il “condominio” più popoloso della città. Almeno in linea teorica, perché parliamo di un condominio virtuale, in cui – per la legge – “abitano” tutti coloro che a Reggio Emilia non hanno una residenza vera e propria. Si tratta di persone senza fissa dimora che nella loro vita hanno avuto bisogno di cure mediche nella nostra città. E poiché la residenza è una condizione imprescindibile per accedere ai servizi, a Reggio Emilia e nel resto dell’Emilia Romagna si è trovato da tempo questa sorta di escamotage per permettere a tutti l’accesso alle cure essenziali, iscrivendo all’anagrafe le persone senza fissa dimora, dando loro come indirizzo di residenza... quello del municipio, piazza Camillo Prampolini 1, appunto.
Barboni, clochard, senzatetto: le definizioni si sprecano, perché è fuori discussione che siamo più bravi a dar loro un’etichetta di quanto invece siamo realmente disposti a prendercene cura. In realtà, qualcosa sta cambiando anche in questo senso, e lo dimostra la legge che entrerà in vigore da gennaio e che prevede una sperimentazione della durata di due anni e circoscritta a 14 città (Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia) volta a garantire progressivamente il diritto all’assistenza sanitaria anche a chi non ha una residenza anagrafica. Per dirla brutalmente: a chi dorme in strada e che attualmente, a causa della legge vigente, non avendo un indirizzo da dichiarazione è di fatto escluso dalla possibilità di avere un medico di base. Ebbene, quella che oggi, scorrendo l’elenco delle città oggetto della sperimentazione, potrebbe sembrare un’esclusione arbitraria ai danni di Reggio, in realtà sottende la presa d’atto di qualcosa che nella nostra città esiste già, senza peraltro la necessità di alcun periodo di sperimentazione.
«In Emilia Romagna – spiega Anna Maria Ferrari, presidente dell’Ordine dei medici di Reggio – esiste dal 2021 una legge regionale che garantisce, agli stranieri temporaneamente in Italia come agli italiani che risultino senza fissa dimora, il diritto ad avere un medico di base e il diritto all’accesso a tutte le prestazioni previste dai cosiddetti Lea, ovvero i Livelli essenziali di assistenza».
L’ex primario del pronto soccorso del Santa Maria Nuova ricorda il contesto in cui questa legge è entrata in vigore: «Eravamo – ricorda – alle prese con la pandemia e in quel periodo si è fatto davvero tutto il possibile per assicurare al maggior numero di persone le cure necessarie, partendo proprio dalle più evidenti fragilità» . L’inserimento di questi pazienti in più ha messo in crisi il sistema dei medici di famiglia? «Non più di quanto lo abbia fatto in questi anni la carenza di medici di base» commenta Ferrari. Un carico di lavoro che – per effetto delle zone che ciclicamente, con il pensionamento di qualche medico, rimangono scoperte – in questi anni è certamente aumentato. Se prima infatti la quota di pazienti per ogni medico era di 1500, ora si arriva 1.600, con punte di 1.800 pazienti per ciascun medico. In pratica, la nuova legge, voluta fortissimamente dalla Onlus Avvocato di strada va a colmare un vuoto normativo e lo fa anche ispirandosi al modello reggiano. In Italia si stima che le persone che possono beneficiare della legge siano circa 100mila». Poi, a fine 2026, ultimata la sperimentazione, cosa accadrà? «Il provvedimento – si legge in una nota dei promotori della legge – prevede l’istituzione di un fondo di un milione di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026, destinato a finanziare un programma sperimentale: il governo monitorerà l’attuazione della legge, presentando annualmente una relazione al Parlamento. La sperimentazione permetterà di valutare quanti senza fissa dimora vogliano accedere al medico di base e quantificare i costi necessari per ampliare eventualmente la copertura, promuovendo una prevenzione più efficace e sostenibile». l © RIPRODUZIONE RISERVATA