Stipendi bassi e affitti alti: così gli infermieri scappano all’estero
L’analisi di Antonio Boccia Zoboli, direttore assistenziale dell’Azienda Usl: «A Reggio Emilia situazione in equilibrio, ma le prospettive future non sono rosee»
I dati sono buoni, le previsioni meno. Sulla soglia del cambio della guardia al timone della sanità regionale, in Emilia Romagna la salute rimane comunque in ottime mani.
Voti alti nel 2023
Ad esempio, sulla base dei dati le percentuali di screening (Mammella, Cervice, Colon) dicono che l’azienda Usl di Reggio è tra le prime in Italia (dati Ageas, riferiti al 2023), ma primeggia anche nelle cure primarie (assistiti adulti per Mmg, pediatrici per Pls e contatti per Mca), in compagnia delle aziende sanitarie di Bologna, Modena, e Ferrara. E tuttavia, i dossier che finiranno sulla scrivania del nuovo assessore regionale sono corposi e complessi. A preoccupare, semmai, sono le prospettive, tra chiari di luna abbondantemente annunciati e dati contingenti.
Il territorio chiama
«Con il potenziamento della cosiddetta sanità di territorio – spiega Antonio Boccia Zoboli, direttore assistenziale dell’Azienda Usl – avremo bisogno di un numero sempre maggiore di infermieri e di figure specializzate sempre più nell’assistenza di una popolazione con patologie e problemi legati all’invecchiamento: dai Cau alle Case della Salute, fino alle Rsa, serviranno sempre di più figure che potremmo chiamare infermieri di comunità ed è questo fabbisogno futuro che rischia di non far quadrare i conti che adesso sono in quell’equilibrio precario di cui parlavamo. Sia chiaro, questo non è un fenomeno soltanto reggiano e nemmeno soltanto nazionale. Semmai, questa carenza di infermieri qui pesa ancora di più perché comunque il numero di infermieri è storicamente più basso di quanto non lo sia nel nord Europa o nella stessa Gran Bretagna: secondo i dati Ocse – spiega il dirigente dell’Ausl – nei paesi del nord dell’Europa il rapporto è di 9,5 infermieri per mille abitanti, in Gran Bretagna scende a 8, mentre in Italia è addirittura di 6,5 infermieri per mille abitanti».
Il vento è cambiato
Sembra passato un secolo da quando al Santa Maria Nuova e negli altri ospedali della provincia arrivavano laureati in Scienze infermieristiche dalle regioni del Sud, in particolare Calabria, Lazio e Campania: erano gli anni in cui le aziende sanitarie di quelle regioni erano costrette a piani di rientro dai rispettivi deficit e non potevano assumere personale. E questo ha fatto sì, per anni, che le aziende sanitarie del nord che invece avevano mani libere sulle assunzioni, attirassero in gran numero gli infermieri che si erano formati al sud. Poi, però, il vento è decisamente cambiato, con le aziende sanitarie e gli ospedali del sud che hanno ripreso ad assumere e in tanti hanno potuto tornarsene a casa.
Saldo negativo
«Il dato certo – sottolinea ancora Boccia Zoboli – è il crescente fabbisogno, a cui non sempre si riesce a rispondere con il personale che servirebbe. Si pensi soltanto che ogni anno si laureano in media circa 15mila infermieri. Peccato che circa diecimila vadano ogni anno in pensione e quasi altrettanti scelgano di lavorare all’estero».
Una emorragia che non di rado viene tamponata con arrivi, letteralmente dall’altra parte del mondo. «Ora – spiega Boccia Zoboli – stanno arrivando dall’India, che peraltro ha una ottima tradizione nella formazione del personale sanitario. Certo, una volta arrivati in Italia, devono essere comunque formati e prendere confidenza con il nostro modello. E nel frattempo però, non di rado, vanno comunque a lavorare altrove. Perché questa professione di cui c’è grande bisogno è diventata sempre meno attrattiva, soprattutto rispetto alle realtà sanitarie di altri paesi, ad esempio del nord Europa dove la retribuzione media di un infermiere è oggi più alta rispetto all’Italia. E non parliamo di pochi spiccioli, ma di una busta paga con il 30-35% di denaro in più». Senza considerare che altrove gli infermieri non incontrano i problemi di caro-vita e caro-affitti che invece ci sono in Italia. E Reggio non fa certo eccezione. «Non ho dati certi – conclude il dirigente Ausl – ma posso confermare che tra i nostri neolaureati, il numero di coloro che poi vanno a lavorare all’estero è da anni piuttosto significativo».
«Faccio altro»
In altre parole, il potere contrattuale di chi oggi consegue una laurea in Infermieristica è molto alto, proprio in ragione del fatto che il fabbisogno di queste professionalità non smette di crescere. «E questo fa sì che tanti neolaureati – spiega il direttore assistenziale dell’Azienda Usl – esprimano preferenze precise su quella che potrebbe essere la loro mansione una volta assunti. Va detto che da parte nostra c’è la massima disponibilità ad accogliere le richieste, a patto che collimino con le nostre esigenze. E quando questo non avviene, loro vanno altrove». Non solo: a dimostrare quanto poco sia appetibile oggi la professione infermieristica, non mancano nemmeno i neolaureati che, ancora con la corona d’alloro sulla testa, lasciano intendere che per il momento non andranno a fare gli infermieri.
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