Giovanissimi, prima della violenza: il disagio che trasforma i ragazzi in “bulli”
Senza un’adeguata educazione emotiva vengono meno empatia e tolleranza. Così le sfide dell’adolescenza possono sfociare in comportamenti aggressivi
È solo di qualche mese fa la seconda edizione della Survey TEEN realizzata da Fondazione Libellula (network che promuove lo sviluppo di una cultura contro la discriminazione di genere), con un report 2024 che inquadra qual è il livello di comprensione e l’esperienza della violenza di genere. Tra gli adolescenti dai 14 ai 19 anni emerge che uno su tre ha subito un episodio di violenza e un giovane su cinque non è in grado di riconoscere gli abusi nelle relazioni. La maggior parte di loro non distingue, infatti, con chiarezza il confine tra forme d’amore e forme di violenza. Non solo: la grande maggioranza non prende seriamente il tema del consenso né quello dell’eccessivo controllo, minimizzando persino situazioni che si configurerebbero come reati come lo stalking.
Realtà fisica e virtuale
È invece precedente il Rapporto ESPAD®Italia (fine 2023) dove viene segnalato un preoccupante aumento della violenza tra i giovani: quasi il 40% degli studenti delle scuole superiori ha partecipato a risse o zuffe (un aumento del 33% rispetto al 2019) e il 12% ha preso parte a episodi di violenza di gruppo (il 41% dei casi ha coinvolto sconosciuti e il 33% conoscenti). A preoccupare ulteriormente sono i comportamenti estremi, come il danneggiamento di beni pubblici o il ricorso all’aggressività fisica grave. Non solo: la violenza si manifesta anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie, con episodi di cyberbullismo e maltrattamenti online. La rabbia giovanile, quindi, non è confinata al mondo fisico, ma si espande anche nel virtuale, alimentata dalla cultura della potenza e della disumanizzazione che caratterizza molte delle interazioni online. In realtà la violenza giovanile è un fenomeno complesso che affonda le radici in molteplici fattori psicologici e sociali. L’adolescenza è un periodo critico dello sviluppo psicologico, in cui il giovane si trova a confrontarsi con una serie di sfide emotive, famigliari e sociali: in alcuni casi, gli adolescenti reagiscano al loro disagio attraverso comportamenti aggressivi, sia fisicamente che emotivamente. Uno degli aspetti più preoccupanti è il comportamento dei ragazzi che si rifugiano in una “forza senza forma”, esprimendo attraverso aggressività e bullismo il proprio disagio interiore. Questo comportamento, che culmina in atti di violenza, è spesso legato a sentimenti di inadeguatezza, senso di colpa e paura di non essere amati.
La cultura dei selfie
L’attuale società, sempre più “narcisistica”, contribuisce a questo fenomeno, alimentato dalla cultura dei selfie. Se da un lato i giovani sono ossessionati dall’immagine esteriore, dall’altro si rifugiano in una realtà virtuale che rende difficile lo sviluppo dell’empatia. La difficoltà a riconoscere e comprendere le emozioni degli altri, infatti, può portare a comportamenti violenti. La mancata empatia e la superficialità sono indicatori di un crescente disinteresse per il benessere altrui, che sfocia in azioni aggressive.
Riconoscere le emozioni
Per contrastare questa violenza, è fondamentale promuovere un’educazione emotiva fin dalla giovane età. Insegnare ai ragazzi a dare un nome alle proprie emozioni, come la rabbia o la tristezza, è il primo passo per trasformare l’aggressività in comunicazione. La famiglia gioca un ruolo cruciale in questo processo, se crea momenti di dialogo in cui le emozioni possano essere espresse senza giudizio, ma con comprensione. Ma prima di tutto bisogna immaginare di poter dare attenzione a questi ragazzi, perché la maggior parte dei genitori di questi “bulli” non ha nemmeno idea di come passino il tempo i loro figli, con chi stiano durante il giorno o cosa vedano e facciano sui social. Spesso, i ragazzi che manifestano comportamenti violenti non sono stati educati a riconoscere e gestire le proprie emozioni, ma è anche vero che se vengono lasciati a se stessi, senza regole e attenzioni, chi gliele insegna? I ragazzi generalmente le gestiscono scegliendosi dei “modelli” esterni alla famiglia. Talvolta però, forse per formazione culturale, alcuni genitori arrivano a mal educare queste emozioni, per esempio quando non riescono a criticare le azioni violente dei propri figli.
Accettazione degli altri
E qui allora si crea la necessità di una educazione “familiare” ai concetti di tolleranza, rispetto e accettazione degli altri. Ed è in ambito scolastico che ciò può avvenire! Già, perché in Italia i ragazzi hanno l’obbligo scolastico fino ai 16 anni e questo può essere utilizzato con “forza” per aiutare le famiglie ad aver più attenzione verso i propri figli. Nella scuola i ragazzi possono imparare a comunicare, a risolvere conflitti senza ricorrere alla violenza, e a rispettare il punto di vista degli altri. Questo approccio, che alterna lezioni frontali a momenti di interazione, rappresenta una “transizione empatica” necessaria per prevenire la violenza. L’emergere della violenza tra i giovani non è solo un segnale di disagio, ma anche il riflesso di un sistema sociale che, spesso, non riesce a regolamentare il comportamento dei giovani e a coltivare adeguatamente le competenze relazionali ed emotive, quindi per ridurre il fenomeno della violenza giovanile è necessario un approccio multifattoriale che coinvolga scuola, famiglia e comunità affinché i giovani possano crescere in un ambiente che li aiuti a diventare adulti responsabili, rispettosi e consapevoli delle proprie emozioni e di quelle altri.
*psicologo e psicoterapeuta