Il reggiano passa 37 ore all’anno al volante dell’auto in colonna
Secondo il report dell’agenzia statunitense Inrix, Reggio Emilia è al 222° posto nel mondo per il traffico su strada, 3° in regione dietro a Bologna e Modena
Reggio Emilia A metà strada tra Lubecca, la regina del Baltico, e Bari. Siamo noi reggiani che, chiusi nel nostro guscio semovibile e inquinante passiamo in media 37 ore all’anno della nostra esistenza sulla strada. Senza essere né tutti vigili urbani né tutti autisti di Seta. Semplicemente indigeni, nati qui, e quasi subito chiusi dentro un’auto con cui poterci muovere anche solo per qualche centinaio di metri.
Ma cosa c’entrano il capoluogo della Puglia, la regina del Baltico, la città del Tricolore? Ce lo spiega in un dettagliatissimo report l’agenzia statunitense Inrix, specializzata nell’analisi dei trasporti, secondo cui Reggio Emilia è al duecentoventiduesimo posto nel mondo per congestione del traffico. Il che, considerato che parliamo di una città di poco più di 120 chilometri quadrati, non è esattamente la medaglia da appuntarsi con orgoglio al petto. Anche perché nonostante dimensioni medie la nostra città è per queste caratteristiche diciassettesima in Italia.
Ma tant’è: in quella distesa di verde teorico che è l’Emilia-Romagna, Reggio si piazza dietro - per congestione da traffico - soltanto a Modena (posizione 188, a cui corrispondono 40 ore di vita in un’automobile) e il capoluogo Bologna, che è in posizione 152 al mondo con 41 ore in colonna o alla ricerca di un parcheggio e un peggioramento costante negli ultimi due anni.
Nel dettaglio: a Reggio Emilia la situazione non sembra ancora trovare un sensibile miglioramento. Almeno a giudicare da altri indicatori inseriti nella ricerca. Ad esempio, la velocità massima nell’ora di punta è tra i 29 e i 28 miglia orari, tradotto in chilometri orari siamo attorno ai 46 all’ora. Minore è la velocità, più alto è il livello di inquinamento.
Per carità, niente di nuovo sotto il sole: non fosse stato Benigni a ricordarci che - anche in materia di traffico - ci sono città come Palermo (106esima nel mondo, terza in Italia, alle spalle di una irraggiungibile Roma, sedicesima e Milano al posto 24 nel mondo), nella Città del Tricolore, nessuno si sarebbe stupito di questa brutta pagella reggiana.
Nemmeno gli amministratori che, almeno negli ultimi anni lavorano per cercare di invertire la tendenza. L’assessora alla Mobilità sostenibile, Carlotta Bonvicini, conduce questa quotidiana battaglia su più fronti. «I dati di questa ricerca - dice l’assessora - non fanno altro che fotografare la situazione: Reggio è una città media con un grosso problema di uso del mezzo privato. La città è cresciuta senza che l’espansione residenziale e produttiva fosse accompagnata da una pianificazione adeguata anche delle infrastrutture e sono circa 20 anni che si rincorre la domanda di mobilità. A questo si aggiunge un trasporto pubblico che per troppo tempo ha servito principalmente studenti e fasce di popolazione senza alternative. Questo principalmente perché i finanziamenti sono inadeguati per poter rendere il servizio attrattivo e competitivo per altre categorie di persone che non siano soltanto studenti o anziani».
Per cambiare registro a questo stato di cose servono investimenti sulle alternative al trasporto privato, ma non solo: «Nei prossimi anni dovremo insistere con le opere di fluidificazione dell’asse attrezzato, che andrà a innestarsi sulla tangenziale nord che quando sarà definitivamente ultimata servirà ad alleggerire il resto della viabilità dal traffico più pesante». Anche sul trasporto su rotaia è necessario investire di più: «È in corso - spiega Bonvicini - un confronto con la Regione, portato avanti assieme agli altri Comuni serviti dai treni, per rendere il trasporto ferroviario più efficiente e competitivo».
Poi aggiunge: «La bicicletta, viste le dimensioni della nostra città, deve rimanere un asset importante su cui continuare a investire sia da un punto di vista delle infrastrutture che dei servizi alla ciclabilità. Certo anche in questo caso non si può smettere di investire, per mettere sempre più in sicurezza le strade e rendere più salubre l’aria per chi sceglie di muoversi pedalando e non inquinando»