«Le mie storie si arrampicano su alberi, colline e pareti di roccia»
L’intervista allo scrittore (e sindaco di Castelnovo Monti) Emanuele Azio Ferrari
Emanuele Azio Ferrari è sindaco di Castelnovo Monti, scrittore e autore di racconti, saggi e reportage fotografici. Collabora inoltre con musicisti e compositori per spettacoli teatrali e letture sceniche. Docente presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, nel 2008 Ferrari ha cofondato la casa editrice Abao Aqu, dedicandosi a progetti che uniscono narrazione e immagini. Tra le sue opere più recenti: Nei paesi dell’allegria (2019), Il posto dei libri (2019) e 19 piccoli disegni per fare casa (2020).
Quale è stata la molla che l’ha spinta ad essere, oltre che un puro divulgatore di letteratura a scuola in qualità di docente di lettere, anche curatore e creatore di opere letterarie?
«La curiosità, perché la letteratura non dà molte risposte ma ti suscita molte domande. Quando ti piace un autore, vorresti essere suo amico. A me ha spinto la voglia di far leggere le mie storie agli altri.
Penso che ci si appassioni di storie perché condizionati da chi ce le ha raccontate da piccoli. Mio zio, che aveva una grande passione per l’Odissea e per i miti greci, il sabato mattina veniva sempre a trovarmi, mi prendeva sulle ginocchia e mi raccontava dei pezzi dell’Odissea. Mi ha lasciato un senso di magia ascoltarlo narrare una delle più famose storie mai raccontate, di Ulisse che cerca di tornare a casa. Scrivere per me è un po’ come tornare a casa dopo un lungo viaggio: è come se mi allontanassi dalla realtà, dalle mie certezze, per poi, alla fine, scoprire che quell’allontanarsi non è altro che ritornare e rivedere le stesse cose di tutti i giorni con uno sguardo nuovo».
Da insegnante e scrittore, quali consigli si sente di dare ai ragazzi per incentivarli non solo a leggere ma anche ad approcciarsi alla scrittura creativa?
«Primo consiglio: non avere paura di sbagliare, né di non essere in grado di scrivere perché le buone storie arrivano all’improvviso.
Poi non smettere mai di essere curiosi, provare a leggere di tutto e, se non vi piace un determinato genere, di cambiarlo perché ci sarà senz’altro qualcosa che potrà incontrare la vostra passione quindi non arrendersi alla prima noia e coltivare le incertezze, il senso del dubbio.
I grandi scrittori non sono perfetti: una scrittura perfetta è quella che può fare l’intelligenza artificiale, che non ha quell’umanità che trapela. Quindi non abbiate paura di fare degli errori: come dice Gandalf, personaggio de Il Signore degli Anelli di Tolkien, “non sempre chi va errando è perduto”».
Nei suoi romanzi quanto è ricorrente il tema dell’appartenenza alla comunità montana e in particolare a quella del nostro Appennino Reggiano?
«Penso che una persona scriva delle cose che sa e di quelle che vive, magari anche inventate perché ha “vissuto” in qualche modo quelle storie anche se non sono mai accadute. Io scrivo sempre di personaggi e paesaggi che mi stanno attorno e che ho a cuore come le colline e le montagne del mio Appennino.
Le mie storie vanno tutte in salita, hanno bisogno di arrampicarsi su alberi, su colline, pareti di roccia, sentieri in mezzo ai boschi. Non vedrei un mio personaggio in un luogo di cui non conosco l’anima. Per me, i personaggi assomigliano a chi li crea, anche se facciamo fatica ad ammetterlo».
Per restare in tema, crede che comunità montane come la nostra abbiano ancora un futuro da offrire ai giovani sempre più bombardati da messaggi tendenti a porre le grandi comunità urbane come unico modello di vita comunitaria soddisfacente?
«Ad un certo punto bisogna rendersi conto che se tutte le strade portassero alla città, quest’ultima ad un certo punto esploderebbe. Inoltre le persone per ritrovare se stesse hanno bisogno di uno spazio più ampio, in forma di silenzio, di un’idea di contemplazione. Da noi si possono guardare a lungo cose belle che non hanno bisogno di parole per rivelarsi perché una montagna o una parete di roccia ci dicono tanto anche stando in silenzio. E secondo me, nel mondo di oggi, abbiamo bisogno di ritrovare il ritmo dei passi e del cuore non accelerato.
Nei nostri luoghi, anche quando non succede niente, uno può sostare e godere di una bellezza che non deve pagare. Secondo me questo aspetto può aiutare i giovani a vedere l’Appennino non solo come un luogo in cui mancano delle cose ma come un posto che accoglie cose nascoste che chi vive in città non ha».
Lei collabora anche con musicisti e non disdegna partecipare alla creazione di spettacoli teatrali. A beneficio dei lettori più giovani, quanto ritiene importante la “poliedricità” nella vita culturale di uno scrittore o di un’ artista?
«È fondamentale perché per scrivere bisogna leggere tanto e avere la capacità di ascolto, soprattutto quella interiore perché a me non basta inventare storie straordinarie: le voglio sentire come se fossero parte di me mentre suonano. Lavorare con altri artisti – musicisti, pittori, scultori e fotografi – che conoscono un altro linguaggio straordinario, ti aiuta a capire qual è la tua voce. Chi scrive deve essere consapevole che nella sua scrittura si condensano tanti linguaggi e differenti modi di sentire, di agire e di ascoltare».
*Studentessa dell’indirizzo turistico dell’istituto Mandela di Castelnovo Monti