Dante Morini, il falegname che conquistò il “nemico”: deportato in Germania, divenne amico del suo “padrone”
La storia ricostruita da Giacomo Sulpizio: catturato dai nazisti, rifiuta di collaborare con loro e con il fascismo e viene quindi deportato in Germania, ai lavori forzati
Reggio Emilia Un rapporto di amicizia che va oltre le nazionalità e le guerre, tra un “padrone” tedesco e uno “schiavo” italiano. Tra i premiati – con la Medaglia Dell’Onore 2025 – che verranno omaggiati oggi in prefettura compare il nome di Dante Morini, originario della val d’Enza; sarà il figlio a ricevere il riconoscimento. Falegname, arruolato in artiglieria dal 1937 al 1940. Congedato dall’esercito nel 1942, viene richiamato sotto le armi nel settembre 1943 ma decide di non rispondere alla chiamata e per questo viene catturato dai nazisti, rifiuta di collaborare ancora con loro e con il fascismo e viene quindi deportato in Germania, ai lavori forzati. Una vicenda simile a quella di centinaia di migliaia di “Imi”, Internati militari italiani, e di quasi 8000 reggiani. La differenza? Vista la sua professione viene mandato in un mobilificio dove riesce a costruire un rapporto umano con quello che all’epoca è letteralmente il suo padrone, Aloys Huve, e con la moglie.
La storia è stata ricostruita nei mesi scorsi da un gruppo di appassionati residenti nella val d’Enza, coordinati da Giangiacomo Papotti. Un contributo prezioso l’ha fornito Giacomo Sulpizio, ex sindaco di San Polo d’Enza da sempre attento ricercatore storico. Gli sforzi hanno fatto emergere diverse lettere tra Morini e Huve, tra cui una del 26 febbraio 1948 in cui l’artigiano tedesco aggiorna Morini sulla situazione dopo le devastazioni della guerra e rinnova la stima per l’italiano conosciuto in una situazione così difficile. Dante Morini nasce a Quattro Castella, primogenito di quattro fratelli. Vive con la sua famiglia nei Comuni di Bibbiano, San Polo d’Enza, e dal 21 novembre 1931, a Ciano d’Enza. Lavora come ortolano e falegname. Nel 1937 viene arruolato in artiglieria, dove rimane sino al maggio 1940 prima del congedo, avvenuto col grado di sergente. Viene richiamato per mobilitazione due anni dopo, il 23 luglio 1942, e assegnato al Comando difesa territoriale di Alessandria. Nel luglio 1943 Mussolini viene destituito e arrestato, l’8 settembre 1943 il generale Badoglio firma l’armistizio con gli anglo-americani, l’atto che trasforma l’Italia in un nemico della Germania, da primo alleato qual era sino a quel punto. Milioni di soldati italiani su vari fronti e in Italia sono chiamati a una scelta. O combattere ancora a fianco dei tedeschi o finire agli arresti e venir deportati in Germania e lì e spremuti sino alla morte nelle fabbriche alla ricerca di manodopera. Questo è il destino di Morini, catturato il 9 settembre 1943 ad Acqui Terme e mandato a Meppen, nella Bassa Sassonia. Da lì viene trasferito in un mobilificio nell’area industriale di Scholven, vicino a Gelsenkirchen, in Vestfalia.
La nuova vita
Lì, ricostruisce Sulpizio, costruisce «con i titolari un particolare rapporto di familiarità testimoniato nello stralcio della lettera da questi inviata a Morini il 26 febbraio 1948, scritta in tedesco». La traduzione italiana recita: «Dato che è permesso di scrivere dalla Germania alla Sua bellissima patria, l’Italia, non voglio perdere l’occasione di ringraziarla dal profondo del mio cuore per la Sua lettera d’addio particolarmente gentile e amorevole che ha lasciato scritto sul nostro diario. E’ molto bello per me e per mia moglie sapere che Le è piaciuta la permanenza a casa nostra… (omissis»». Il falegname tedesco non vuole particolari meriti: «Ognuno è artefice della propria fortuna. Quindi non è tanto il merito nostro, ma più che altro la Sua impostazione mentale nei nostri confronti, oltre al Suo modo comprensivo dovuto alla Sua educazione, il fatto che abbiamo potuto trattarla come ci ha comandato il nostro cuore…(omissis). Ci saluti la Sua cara madre. I migliori auguri per il Suo futuro e i nostri più affettuosi saluti». Il legame era proseguito quindi dopo la fine del conflitto e la liberazione di Morini, tornato in Italia il 5 settembre 1945. Nel 1946 sposa Isolina Pietranera, dal matrimonio nascono Dimes e Claudia. «Le difficoltà economiche di quel particolare momento, post guerra, lo vedranno impegnato alle dipendenze di imprese artigiane locali nel settore del vimini, della falegnameria fino a quando negli anni 60’ si dedicherà, in proprio, al commercio dei nostri tipici prodotti alimentari che settimanalmente forniva a diverse famiglie milanesi, raccogliendo, oltre che al sostentamento riconoscenti espressioni di stima e apprezzamento. Muore in San Polo d’Enza il 26 maggio 1991», spiega sempre Sulpizio. © RIPRODUZIONE RISERVATA