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«Un amore con i guantoni iniziato grazie a mio papà»

Nicolò Bertoni e Davide Basso*
«Un amore con i guantoni iniziato grazie a mio papà»

Il 17enne Salvatore Rizzo gioca nel Castellarano (Dilettanti). «Voglio arrivare più in alto possibile solo con le mie forze»

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Dall’under 17 della Reggiana alla Juniores Elite del Castellarano. È stato un anno di cambiamento per il 17enne scandianese Salvatore Rizzo, studente dell’indirizzo CAT (Costruzioni, Ambiente e Territorio) dell’istituto Zanelli, in cui però non è mai mancato il suo punto fermo: il supporto del papà Giuseppe, suo tifoso numero uno. In questa intervista ha ripercorso la sua carriera calcistica svelandoci i suoi obiettivi per il futuro.

Come ti sei avvicinato al calcio?

«È stato grazie a mio papà, che fin da piccolo mi portò con lui a vederlo giocare».

A che età hai iniziato?

«A 6 anni. La mia prima squadra è stata il Chiozza, dove è iniziato tutto».

Sei sempre stato un portiere o hai cambiato ruolo nel corso degli anni?

«No, non sono sempre stato un portiere. All’inizio, come ogni bambino, facevo un po’ tutti i ruoli, ma appena cresciuto ho cominciato a fare l’attaccante. L’anno successivo ho cambiato sport e ho fatto basket e quello dopo ancora sono tornato a giocare a calcio, alla Boiardo di Pratissolo, frazione di Scandiano, dove mi sono appassionato al ruolo di portiere, pur sapendo che era il più complesso».

Ci sono stati momenti particolarmente difficili nel tuo percorso, come un infortunio o una stagione che non è andata come speravi?

«Per quanto riguarda gli infortuni no, non ne ho mai avuti fino ad ora. Invece di stagioni difficili sì: l’anno in cui sono andato a giocare alla Reggiana è stato faticoso trovare spazio perché c’erano dei giocatori molto forti e soprattutto perché di portieri ne gioca solo uno».

Il tuo giocatore di riferimento?

«Gianluigi Buffon, che per me è stato il portiere più forte di sempre, almeno per quello che ho visto di lui. È sempre stato il mio modello di ispirazione».

Com'è è stato ricevere la chiamata della Reggiana? E perché te ne sei poi andato?

«La chiamata della Reggiana è stata una delle notizie più belle della mia vita, un sogno che si avvera: in quel momento mi serviva una svolta per andare avanti. Me ne sono andato perché nel momento nel momento in cui si doveva decidere il mio futuro nella società, non è andata come doveva e avrei voluto. Alla fine mi sono trovato un’altra squadra».

Come ti stai trovando ora a Castellarano nel calcio dilettantistico?

«Molto bene, sia con compagni che con staff e società. Sto facendo una bellissima esperienza in un campionato di juniores regionale élite, dove gioco titolare, cosa che alla Reggiana non era possibile. Il Castellarano offre ad ogni giocatore l’opportunità di dimostrare quello che sa fare e guadagnarsi il posto in campo. Inoltre, allenandomi con la prima squadra, sono stato affiancato al primo portiere da cui sto imparando tante cose».

C’è una partita in particolare nella quale hai spiccato?

«Sì, la prima di campionato di questa stagione. Avevo una voglia di giocare assurda e tornare in campo da titolare è stato come una rinascita personale. Da quel momento sono migliorato sia fisicamente ma soprattutto mentalmente perché il calcio è al 90% una questione di testa e se si è fragili è molto difficile superare certe situazioni. La partita l’abbiamo vinta 2-1 e sono tornato a casa molto contento».

Come affronti la pressione quando giochi in una partita importante?

«Per me ogni partita è importante e la pressione che sento già dal lunedì, la trasformo in energia da far uscire al momento di una parata o di un lancio. La pressione è un’emozione fondamentale che va saputa controllare».

Hai qualche rituale porta fortuna particolare prima di una partita o durante il riscaldamento?

«Si, diciamo che sono una persona abbastanza scaramantica quindi, quando sta per iniziare la partita, mi metto in mezzo alla porta e faccio una preghiera poi salto per toccare la traversa e corro in avanti».

Come reagisci dopo una sconfitta pesante? Ti prendi del tempo per riflettere o preferisci già pensare alla prossima partita?

«Dopo una sconfitta solitamente sono arrabbiato, non parlo con nessuno e non mangio. Dopo che passa un po’ di tempo, penso e ripenso a cosa avrei potuto fare meglio per vincere quella partita. La prima cosa che faccio è confrontarmi con mio papà perché nel bene e nel male mi dice sempre la verità su come ho giocato».

Qual è la tua motivazione principale quando scendi in campo?

«Rendere fiero mio padre in ogni modo, per ripagarlo per tutto quello che fa per me, i sacrifici ogni giorno e tutte le ore a guardarmi giocare. Un’altra motivazione che mi spinge a dare il meglio di me è l'ossessione di arrivare sempre più in alto».

Ci sembra che tuo padre stia giocando un ruolo fondamentale nella tua carriera sportiva, puoi raccontarci di più?

«Lui non si è mai perso una partita, è sempre lì a supportarmi nel bene e nel male. Mi dà consigli per migliorare, fa i salti mortali per portarmi alle partite e agli allenamenti. Oltre a mio padre ci sono anche mio fratello e mio nonno, anche loro due mi hanno supportato per quanto potevano. Un’altra persona che crede in me è la mia ragazza, che mi sopporta sia quando vinco che quando perdo».

Quali sono i tuoi obiettivi nel calcio per il futuro? C’è un traguardo particolare che sogni di raggiungere?

«I miei obiettivi nel calcio sono riuscire ad arrivare il più in alto possibile, con solo e soltanto le mie forze, fare carriera e soprattutto divertirmi quando scendo in campo. Il traguardo che avrei sempre voluto raggiungere è la serie A».

Cosa pensi di poter migliorare ancora nel tuo gioco?

«La cosa che devo migliorare maggiormente sono i piedi. Riuscire a fare un lancio, un passaggio ad un compagno o semplicemente imbucare un mio compagno per fargli fare gol. Insomma vorrei migliorare la mia sensibilità con il pallone per essere più sciolto quando calcio. Poi ovviamente devo migliorare su tantissime altre cose ma, per me, questa è la più significativa».

Dove ti vedi tra 5 o 10 anni?

«Non so bene definire cosa succederà fra 5 anni perché il gioco del calcio è molto imprevedibile, quindi non saprei dove potrei essere, forse nemmeno più in Italia. L’unica cosa che so per certo è che finché riuscirò a camminare giocherò a calcio ad ogni costo».

Studenti della 4ªC indirizzo CAT dell’istituto Zanelli (ex Secchi)

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