«Il modello di Università a rete di sedi è oggi un pieno esempio di successo»
Reggio Emilia, il professor Luigi Grasselli: «Si percepiva l’esigenza di un luogo di ricerca e innovazione»
«E così Reggio Emilia è diventata città universitaria». Perché sì: Ateneo non significa solo attività didattica, ma anche ricerca e un territorio più vivo. Riavvolgiamo il nastro. Fino agli anni '90, racconta Luigi Grasselli, già prorettore di Unimore per la sede di Reggio Emilia, «la città non aveva un’istituzione universitaria stabile. L’unico legame con il mondo accademico si concretizzava nel corso di laurea in Scienze della Produzione animale, che però era affiliato all’Università di Bologna. Questo corso, che aveva avuto il merito di formare generazioni di studenti, non rappresentava tuttavia una struttura universitaria completa e integrata nel tessuto sociale ed economico cittadino».
Fu solo verso la fine degli anni ’80 che la necessità di dotare Reggio Emilia di una propria Università cominciò a essere avvertita in modo più pressante. Un insieme di stakeholder locali – tra cui il Comune, la Provincia, la Camera di Commercio, le associazioni industriali e quelle civili – si adoperarono per favorire la creazione di una realtà accademica stabile. E così «nacque l’idea di “Reggio Città degli Studi”, una società che si impegnò a promuovere l’insediamento di corsi universitari sul territorio», prosegue Grasselli. Alla guida di questa iniziativa fu il dottor Carlo Baldi, la cui figura divenne simbolo di un'intensa azione progettuale volta a realizzare un polo universitario reggiano. Nel decennio successivo, la realtà cominciò a prendere forma.
Nel cuore degli anni ’90, infatti, furono attivati i primi corsi di laurea a Reggio Emilia in collaborazione con l'Università di Bologna e l'Università di Parma. Ma nonostante questi primi passi, la presenza dell'Ateneo sul territorio era ancora precaria: «I docenti provenivano da altre città, le lezioni si svolgevano senza un radicamento stabile, e l’attività accademica non riusciva a integrarsi con la vita culturale e sociale della città. Si percepiva, dunque, l'esigenza di una Università che non si limitasse all’offerta di corsi, ma che fosse anche un luogo di ricerca e innovazione, dove la didattica fosse indissolubilmente legata all’attività scientifica e culturale».
Fu proprio questa riflessione che portò alla nascita del progetto di un Ateneo autonomo, destinato a rispondere alle esigenze di un territorio in rapida evoluzione. La creazione di una Università slegata a Reggio Emilia avrebbe incontrato notevoli difficoltà, e si fece dunque di necessità virtù: da questa sfida emerse l’idea di un Ateneo a rete di sedi. «Così, il primo novembre 1998 nacque ufficialmente Unimore, un’unica Università con sedi distinte e complementari: una a Modena e l’altra a Reggio Emilia. L’ideale di pari dignità tra le due sedi fu il fondamento di questa innovativa struttura accademica. Sebbene l'Ateneo fosse unico, le sedi di Modena e Reggio godono oggi di una medesima rilevanza, con una complementare distribuzione delle risorse, dei corsi di laurea e delle attività di ricerca», aggiunge Grasselli. Gli anni successivi – ad arrivare fino ad oggi – segnarono una rapida espansione della presenza universitaria a Reggio Emilia. Furono istituite diverse facoltà, e ultimamente l’Ateneo a rete di sedi è una realtà che ha raggiunto un equilibrio tra le due città: circa il 60% degli studenti seguono le attività a Modena, mentre il 40% si concentrano a Reggio Emilia; spartizione che testimonia il successo della strategia di pari dignità e di complementazione tra le sedi.
«Questo modello di Università a rete di sedi è oggi un esempio di successo, un atto di coraggio e lungimiranza che ha permesso a Reggio Emilia di diventare, a pieno titolo, una città universitaria di riferimento», conclude Grasselli. © RIPRODUZIONE RISERVATA