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L’intervista

Romano Prodi: «Oggi serve soprattutto l’Europa o da sovranisti diverremo schiavi»

Massimo Sesena
Romano Prodi: «Oggi serve soprattutto l’Europa o da sovranisti diverremo schiavi»

Ricorda l’intervista alla Gazzetta di Reggio in cui decise di sfidare Berlusconi: «Il lascito dell’Ulivo dopo trent’anni? Da soli non si vince, occorrono intese»

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«In una settimana ci siamo giocati il principio dell’equilibrio dei poteri che è alla base di ogni stato democratico; poi abbiamo permesso che venisse violata la nostra sovranità e la cosa che deve far riflettere che a permettere che ciò accadesse sono stati proprio i sovranisti». Così Romano Prodi, a cui chiediamo un ricordo dei trent’anni dalla nascita dell’Ulivo. Trent’anni che poi sono quasi trentuno, e sarà lui stesso a spiegarci perché. E perché tutto ebbe inizio con una intervista allo storico direttore della Gazzetta di Reggio Umberto Bonafini, l’11 agosto 1994. L’anagrafe dice: nato a Scandiano 86 anni fa. La sua storia è quella dell’unico politico capace di battere due volte alle elezioni Silvio Berlusconi, il suo curriculum lo vuole prima accademico, poi presidente dell’Iri, poi ministro, poi fondatore dell’Ulivo, quindi presidente del Consiglio, primo presidente della Commissione Europea, poi di nuovo accademico e, insieme inviato speciale delle Nazioni unite. Basterebbe un terzo degli incarichi ricoperti dal professore per chiedere con buon diritto di esser lasciato a godersi la pensione. E invece Romano Prodi resta, anche suo malgrado, al centro della vita politica italiana. A chiamarlo più volte in causa ci ha pensato pure la premier Giorgia Meloni, alla perenne ricerca del nemico quotidiano. Lui, il professore sorride e guarda avanti, anche se alla fine, tra i due, il più ottimista, rischia di essere l’intervistatore. «Se mi chiede se c’è ancora speranza, per come siamo messi e come è messa l’Europa, le rispondo che c’è la speranza della disperazione».

Professor Prodi, lei in una intervista a Repubblica ha ricordato la nascita dell’Ulivo, con l’annuncio della sua discesa in campo in una intervista alla Gazzetta il 2 febbraio 1995. Mi perdoni, ma i conti non mi tornano: io ho memoria di un Bonafini che piomba in redazione la mattina dell’11 agosto 1994. Dal passo con cui attraversa la redazione per chiudersi nel suo ufficio capiamo che è successo qualcosa...
«Ha ragione lei. Quella è la data giusta, e pensando all’amico Umberto non posso che sorridere ancora oggi di quella sera. A Valestra, (frazione di Carpineti, poco distante da Bebbio, altra frazione del comune appenninico dove la famiglia Prodi ha da sempre la propria residenza estiva, ndr), su un palco allestito all’ultimo momento, alle nostre spalle c’erano, ricordo ancora, le casse d’acqua minerale del bar di cui eravamo ospiti. Davanti a noi ci saranno state – sorride – dodici persone. E proprio in questo clima parlavamo di politica, come poi avremmo fatto tante altre volte. E fu lì che lui mi chiese se per caso ero disponibile a impegnarmi in prima persona nel campo dei riformisti. Il giorno dopo, Umberto, che evidentemente aveva visto più avanti di quanto non avessi fatto io stesso in quel momento, ricavò da quella conversazione, la famosa intervista...».

La data del 2 febbraio da cosa nasce?

«Ero, di fatto, già sceso in campo, proprio per il grande entusiasmo che era nato da quelle mie parole, riportate dalla Gazzetta e poi riprese da tutti i più grandi giornali. Il 2 febbraio, ospite all’assemblea degli Industriali di Parma, annunciai formalmente la nascita dell’Ulivo che nei fatti era già vivacissimo nel Paese con centinaia di comitati dei cittadini».
L’Ulivo è morto giovane, come tutti gli eroi giovani e belli di cui canta Guccini. Ma qualcosa avrà pur lasciato in eredità...

«Sicuramente. Ad esempio la consapevolezza che, soprattutto nella componente riformista del Paese, quella che ho cercato di federare, da soli è impossibile vincere. Servono accordi, intese, allora come oggi».

I comitati Prodi furono un grande segno di novità: era la prima volta che la politica usciva dalla stretta militanza dei partiti. E anche la campagna elettorale, in giro in pullman per l’Italia, fu una assoluta novità...
«È stata una fatica incredibile. Ma magnifica, ho visitato posti che non conoscevo e incontrato persone che mi sono rimaste nel cuore».
Oggi, nell’era dei social sarebbe impensabile.
«Non riesco nemmeno a pensare come avrei potuto muovermi oggi, senza guardare in faccia le persone. Oggi se non sei su Tik Tok non esisti, e se anche sei il capo del governo e i partiti ti chiedono di andare in parlamento a spiegare cos’è successo con Almasri, tu puoi non andarci».
La vicenda di Almasri e quella dei migranti che dai centri allestiti in Albania dal governo italiano devono già tornare in Italia non certificano anche l’isolamento dell’Italia?
«Io aggiungerei anche l’inconsistenza dell’Europa, imprigionata com’è da questa storia che ogni decisione dev’essere presa all’unanimità. In questo modo chiunque può porre il veto a seconda delle proprie convenienze. Ma così il bene comune non esiste più. L’esempio di Elon Musk è indicativo». Si spieghi meglio. «Il suo sistema satellitare Starlink può essere veramente utile e innovativo, ma a una condizione imprescindibile».
E quale sarebbe?
«Che a trattare con Elon Musk non dev’essere il singolo Stato, ma l’Unione Europea come soggetto politico coeso, in modo da poter dettare almeno le condizioni di un accordo. Anche perché se non accadrà questo...».
Non mi sembra molto ottimista.
«E come potrei esserlo? Guardi le elezioni americane. Trump non ha mai citato una volta l’Europa, e questo è comprensibile visto che per lui l’Europa è quasi un nemico. Ma anche Kamala Harris... Non ha mai citato nemmeno lei l’Europa. Perché per gli Usa l’Europa non esiste».
Il mondo è tornato ad essere bipolare?
«Così pare, con la Cina che ha sostituito la Russia. E l’Europa è alle corde, come quel pugile che si aggrappa alle corde per non cadere».l © RIPRODUZIONE RISERVATA