L’ex diavolo Castagnoli si racconta: «Per me il rugby è uno stile di vita»
Ha giocato nella nazionale Under 20 e ora milita nel Piacenza Rugby
Alessandro Castagnoli, classe 1988, giocatore di rugby del “Piacenza rugby club”, ex diavolo del Rugby Reggio (oggi Valorugby) ed ex azzurro Under 20, spiega i motivi che lo hanno spinto a praticare questo sport di contatto, la routine di allenamento e la sua esperienza con la nazionale nel mondiale del 2008.
Un amore nato a 10 anni
Nel suo studio, Castagnoli ci ha raccontato cosa lo ha spinto ad avvicinarsi al rugby e perché ha iniziato a giocare, confidandoci che all’inizio non era attratto da questo sport. Il suo viaggio con la palla ovale inizia alla giovane età di 10 anni (arrivando da un anno di pallavolo e da uno di basket) quando sua mamma, insegnante di educazione fisica, lo presenta ad un suo collega allenatore di rugby. Dato che in quel momento non stava praticando alcuno sport, decise di andare ad un allenamento per provare e da quel momento, come afferma, «è stato amore a prima vista e non ho più smesso».
«Che emozione l’inno»
Entrando invece nel vivo della sua lunga carriera, il rugbista afferma che la parte più emozionante è stata la partecipazione al mondiale Under 20 nel 2008, quando è stato convocato per la prima volta dalla nazionale italiana. «La prima volta che ho sentito l’inno in campo è stato molto emozionante», dice. Caratteristica di Alessandro è la sua capacità di sostenere mentalmente la pressione delle partite. Ci confida, infatti, di non “soffrirle tanto”. Dietro ai match ci sono dure sessioni di allenamento in palestra, soprattutto gli ultimi anni. «Inizialmente si dà tutto per scontato – ammette – ma quando si comincia a crescere si capisce l’importanza di allenare il proprio corpo, specialmente in uno sport di contatto come il rugby, per il quale è importante preservarsi dagli infortuni».
Saper leggere il gioco
Parlando con il giocatore degli aspetti tecnici, dice che la velocità è stata la sua principale qualità nella prima parte della sua carriera. «Sono sempre stato molto veloce – racconta – ma con il passare degli anni la velocità è la prima caratteristica che si inizia a perdere». Al contrario, con il passare del tempo si è affinata un’altra sua qualità ovvero quella di saper “leggere il gioco”. Castagnoli dà sempre il massimo, pur vivendo il suo sport totalmente come un gioco. In quest’ultima stagione lui e la sua squadra praticano tre allenamenti sul campo più una rifinitura il sabato, aggiungendo tre allenamenti supplementari in palestra – il martedì, mercoledì e giovedì – prima di lavorare sul campo.
Una sfida continua
«Quello che mi dà il rugby è la sfida continua verso gli avversari ma anche verso me stesso» afferma Castagnoli, aggiungendo che per lui ogni partita è una battaglia da affrontare. «Sono uno molto competitivo». Ci racconta che ha sempre ammirato molto il giocatore numero 10 della Nuova Zelanda, Dan Carter. A detta sua, il numero 10 più forte che questa nazionale abbia mai avuto.
Di lui, a Castagnoli piace molto, oltre che l’aspetto tecnico «scontato per il giocatore che è», la tranquillità che ha quando entra in campo. Per quanto riguarda la rosa di giocatori, il rugbista dice che ciascuno ha un suo compito da rispettare affinché la “macchina” della squadra funzioni correttamente. Ritiene, però, che nell’area dei tre quarti di metà campo dove gioca, il “secondo centro” sia il ruolo che in zona difensiva venga messo più in difficoltà.
Sul rapporto sport-vita privata, Castagnoli ammette che, nel momento in cui si inizia ad avere una storia sentimentale, si complicano un po’ le questioni lavorative, in quanto bisogna dare spazio anche alla relazione amorosa. Dice che bisognerebbe avere la fortuna di trovare una persona che riesca a capire la propria situazione, supportando e comprendendo gli impegni sportivi.
Nel rugby spesso si fanno rituali scaramantici, ma Alessandro dice di non averne: l’unico accorgimento che ha, rivela, è uscire sempre dallo spogliatoio per ultimo. «Il rugby è un po’ uno stile di vita» sostiene nel consigliarlo a tutti, «perché quello che si prova quando si gioca in una squadra durante una partita e le difficoltà che si affrontano potranno servire come lezioni di vita». E «la vita non è solo cose belle e facili» conclude.
*Studente dell’istituto “Silvio d’Arzo” di Sant’Ilario d’Enza