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Colpa medica

Operata al ginocchio muore a 61 anni: dopo 16 anni ai familiari oltre un milione di euro di risarcimento

Ambra Prati
Operata al ginocchio muore a 61 anni: dopo 16 anni ai familiari oltre un milione di euro di risarcimento

Il calvario dopo l’operazione per Anna Maria Amati. La causa del decesso: un’infezione non curata in modo non adeguato

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Reggio Emilia Un intervento di routine al ginocchio si è trasformato in un vero e proprio calvario durato 22 mesi per una donna reggiana che, dopo aver subìto tre interventi chirurgici e l’amputazione di una gamba, è morta a 61 anni. Ora, al termine di un lungo contenzioso civile, i familiari di Anna Maria Amati, tutelati dall’avvocato Giacomo Fornaciari, hanno ottenuto un maxi risarcimento da un milione e 100mila euro grazie alla sentenza di primo grado emessa dal giudice del tribunale di Reggio Emilia Stefania Calò. Il marito della vittima, Domenico Altini, e i quattro figli Mario, Antonio, Vincenzo e Rocco (quest’ultimo è i titolare del ristorante di pesce “Tana Marina” di Botteghe di Albinea), si sono visti riconoscere un doppio risarcimento: uno per danno terminale (le sofferenze patite in vita dalla defunta) e un altro per perdita parentale (i suoi cari). La vicenda risale al 2009 quando la donna decide di sottoporsi a un’operazione, sulla carta banale, di protesi al ginocchio.

L’intervento avviene a Villa Verde il 13 maggio 2009; la paziente viene dimessa il 16 maggio. Ma non sta bene e a fine novembre la casalinga viene di nuovo ricoverata e dimessa il 19 dicembre. Con il passare del tempo la situazione non migliora: nell’aprile 2010, all’ospedale Rizzoli di Bologna, viene riscontrata sulla paziente la presenza di una setticemia, un’infezione batterica del sangue: è necessario operare per espiantare la protesi. Dopo qualche mese, un altro intervento chirurgico sempre al Rizzoli. Finché un anno dopo, nel 23 dicembre 2010, Anna Maria viene ricoverata al Santa Maria Nuova: ormai non c’è più nulla da fare per la gamba, sentenziano i dottori, che procedono all’amputazione dell’arto sinistro fino alla coscia. Da sotto i ferri la 61enne passa in Rianimazione, dove il 16 febbraio 2011 muore. I parenti si rivolgono all’avvocato Fornaciari, che introduce un ricorso di accertamento tecnico preventivo: un primo passo per stabilire eventuali responsabilità. Il collegio peritale, formato da un medico legale e da uno specialista, individua la causa del decesso in una progressione dell’infezione scatenata dalla prima operazione a Villa Verde («nesso causale»), mentre i medici di Bologna non sono stati determinanti. La responsabilità di Villa Verde, secondo la perizia, non risiede tanto nell’infezione ospedaliera (piuttosto comune), bensì nel fatto che non è stata curata in modo adeguato e questo ha comportato la cronicizzazione, con tutto quel che ne è seguito. Tanto più che «l’intervento di artoprotesi e un adeguato trattamento della complicanza infettiva non richiedevano la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà». Dopo tentativi di conciliazione con Villa Verde, che ha contestato la perizia d’ufficio a loro avviso erronea, il giudice ha ritenuto che quella perizia fosse esaustiva e ha deciso in base a quella riconoscendo la colpa medica e il maxi risarcimento. «Si tratta di una somma di notevole entità ma proporzionata al gravissimo danno subito dai congiunti di Anna Maria – ha detto l’avvocato Fornaciari – Il tribunale ha accolto quasi totalmente le nostre richieste risarcitorie». Per Alessandra Franzini, direttore generale della casa di cura Villa Verde, «le verifiche medico legali a suo tempo disposte avevano escluso ogni responsabilità dei sanitari. Certi del buon operato della clinica, valuteremo l’opportunità di impugnare la sentenza».  © RIPRODUZIONE RISERVATA