Incendio Inalca, dal liceo Moro: «I nostri figli sono al sicuro?». Arpae e Ausl rassicurano
In una lettera al sindaco le famiglie chiedono risposte. Nini, del dipartimento di sanità pubblica, spiega la situazione
Reggio Emilia L’acqua, l’aria, il fuoco, la terra. I segni ci sono tutti, in quel cratere nero che oggi è ciò che resta dello stabilimento dell’Inalca, in via Due Canali, al Tondo. Il difficile ora è fare le carte, leggere l’oroscopo di questo angolo di Reggio cresciuto – nell’indifferenza generale – dagli anni 40, quando i primi insediamenti del macello vedevano la luce, tirandosi dietro, come la carne con il contorno, anche il mercato ortofrutticolo. Il tutto a pochi passi dal centro cittadino, posto ideale anche per tirar sù case. Nasceva così il quartiere del Tondo. E ora rischia di “morire” o almeno di cambiare pelle, sotto la spinta di uno dei più grossi incendi che la storia di Reggio ricordi. E dopo giorni di preoccupazioni quasi a senso unico per i livelli occupazionali e i siti produttivi avviati a inevitabile delocalizzazione, ora ad alzare la voce, preoccupata, sono coloro che non possono delocalizzare, come i genitori dei ragazzi che frequentano il Liceo scientifico Aldo Moro e di quelli che frequentano le scuole del vicino polo di via Makallè. In una lettera inviata al sindaco di Reggio chiedono che ora l’attenzione si sposti anche sui loro figli che ogni giorno devono recarsi a scuola e vogliono garanzie sulla salubrità dell’aria. E di fronte a queste legittime preoccupazioni, l’Ausl prova a gettare acqua sul fuoco. «Anche io sono un genitore – dice Antonia Nini, direttore del Dipartimento Sanità pubblica – e capisco le preoccupazioni dei genitori. Quello che mi sento di dire è che la situazione è stata da sempre tenuta sotto controllo e la situazione di allarme è davvero durata un lasso di tempo molto limitato da rendere davvero improbabili effetti nocivi per la salute».
Acqua
L’acqua la stanno usando da giorni i vigili del fuoco e i tecnici di Ausl e Arpae chiamati ora a effettuare le necessarie operazioni di bonifica su tutta l’area. Una bonifica che serve a rendere innocue quelle fibre di cemento amianto che, spento l’incendio, si sono sparse sul terreno. «Sono pezzi di cemento amianto – spiegava martedì Antonia Nini, direttore del dipartimento di Sanità Pubblica dell’Ausl di Reggio – che appartenevano alla copertura dell’edificio, collassata per l’esplosione e l’incendio. E proprio l’altissima temperatura dell’incendio ha fatto sì che queste fibre si cristallizzassero, senza disperdersi nell’aria».
Aria
E a proposito di aria ieri, in una nota congiunta, Ausl e Arpae hanno diffuso i primi dati rilevati dalle centraline installate subito dopo l’incendio in via XX Settembre, proprio a ridosso dello stabilimento dell’Inalca e in via Rinaldi, nel vicino centro abitato di Cavazzoli. Una scelta, quella del piazzamento di queste due centraline di rilevamento che non è stata casuale, ma è stata invece dettata dalla direzione e dall’intensità dei venti nelle ore immediatamente successive al maxi-rogo. E proprio dai risultati delle centraline di monitoraggio, sottolineava ieri un comunicato congiunto di Arpae e Ausl, arrivano risultati che lasciano ben sperare. Invero, si tratta di risultati che vanno letti sia in un confronto con i dati di altre centraline che monitorano l’aria in città da sempre e che si trovano in un raggio di un chilometro e mezzo in linea d’aria dal luogo dell’incendio. In particolare, i dati raccolti raccogliendo l’aria nelle centraline di viale Timavo e via Premuda e – nelle stesse ore – in via XX Settembre, dicono sostanzialmente due cose: la diossina, ovvero l’inquinante più pericoloso di quelli che un incendio di questa natura compare soltanto nei rilevamenti della centralina a ridosso dell’incendio e per un lasso di tempo limitato: tra le 16 dell’11 febbraio (il giorno in cui, all’incirca all’una del mattino si sono alzate le fiamme all’interno dell’Inalca) arrivando a una concentrazione di 0,34 picogrammi per metro cubo, per poi scendere drasticamente a 0,09 e quindi scomparire del tutto il 13 febbraio. Nella nota che accompagna i dati, Ausl e Arpae spiegano così la rilevazione: «Per quanto riguarda gli idrocarburi policiclici aromatici – si legge in una nota congiunta – è possibile osservare un debole incremento che si è mantenuto tale dalle prime ore di campionamento fino alla conclusione nel pomeriggio del 13 febbraio. Il benzopirene, che è l’unico idrocarburo policiclico aromatico regolamentato per la qualità dell’aria con una concentrazione media annua di 1 ng/m3, si è attestato di poco sopra al limite, per poi decrescere con il tempo». Discorso più complesso e delicato quello della diossina. Ma anche in questo caso, Arpa e Ausl tendono a vedere il bicchiere mezzo pieno. «Per quanto riguarda diossine/furani – dice sempre la nota – si può osservare, nel confronto tra le due giornate di campionamento, un incremento dei microinquinanti monitorati nella postazione di via XX settembre con i valori più alti registrati tra le ore 16 del giorno 11 e le 9del giorno successivo, per poi scendere a valori di meno della metà nel campionamento del giorno successivo». A questo proposito, Arpae e Ausl si spingono oltre ripescando un precedente, che magari molti reggiani nemmeno ricordavano: il furioso incendio che nel 2018 distrusse una fabbrica di lampadari, in via Monti Urali, nella zona del Quinzio. Parlando dei livelli di diossina rilevati dopo l’incendio al Tondo dei giorni scorsi, si sottolinea come «la tetraclorodiossina, è risultato inferiore al limite di rilevabilità strumentale. A titolo di confronto, in occasione dell’incendio occorso in via Monti Urali nel 2018, si rilevarono concentrazioni di diossine totali pari a 33.8 pg/m3, un valore cioè 100 volte superiore a quello riscontrato in occasione dell’incendio Inalca». Fuoco e terra Intanto, al Tondo prosegue senza sosta il lavoro dei vigili del fuoco e dei tecnici di Arpae e Ausl. E proseguono le operazioni di bonifica: «I frammenti di cemento-amianto – spiega la dottoressa Eufemia Bisaccia del Servizio di Igiene pubblica dell’Ausl-Irccs – vengono costantemente bagnati per evitare che le fibre possano disperdersi, quindi vengono raccolti mediante apposite macchine aspiratrici e poi stoccati nei siti ad hoc».