Femminicidio di Giulia Galiotto: la famiglia chiamata a pagare tasse sul risarcimento, che non ha ricevuto
Scandiano, nel 2009 il marito Marco Manzini l’ha uccisa e ora è libero. “Una beffa assurda, ma non ci arrendiamo”
Reggio Emilia «L’Agenzia delle Entrate mi ha presentato una cartella esattoriale di oltre 6mila euro per chiedermi le tasse sul risarcimento per il femminicidio di mia figlia. È assurdo, ma noi non ci arrendiamo e faremo ricorso: non stiamo perseguitando un povero uomo, ma stiamo rispettando la sentenza che ha condannato l’assassino di Giulia». Una beffa, pesantissima, nella tragedia immensa – per cui non ci sono parole a sufficienza – dell’assassinio della figlia. La stanno subendo Giovanna, Giuliano ed Elena Galiotto, rispettivamente madre, padre e sorella di Giulia, uccisa dal marito.
Il delitto
Nel 2009 Marco Manzini, originario di Scandiano, ammazzò la moglie Giulia Galiotto a San Michele dei Mucchietti, Sassuolo. Le telefonò, adescandola con una scusa: le fece credere di doverle mostrare qualcosa e la colpì nove volte alla testa con una pietra. Dopo l’omicidio, Manzini gettò il corpo della moglie nel Secchia per inscenarne il suicidio. E avvisò la famiglia, fingendosi preoccupato per la moglie. Nel 2022, tredici anni dopo aver ucciso la moglie, e dopo aver ricevuto una condanna definitiva a diciannove anni e quattro mesi di carcere, ottiene la semilibertà, venendo affidato in prova ai servizi sociali. E, tramite i propri legali, ha scritto ai genitori di Giulia “offrendo” 50 euro al mese «in ottica di manifestazione della volontà di avvicinamento ad un’ipotesi di mediazione penale», ovvero una sorta di riavvicinamento tra le parti. La famiglia di Giulia respinge con forza la mediazione. Ha diritto per sentenza a un risarcimento pari a un milione e 200mila euro. E Manzini ha terminato completamente la sua pena a fine luglio del 2024. Gli ultimi tre anni di pena, dal febbraio 2022 li ha trascorsi in regime di semilibertà, con la messa alla prova presso i servizi sociali.
L’uomo è libero
«Probabilmente hanno risentito dei riti premiali per buona condotta, poiché il periodo è stato ridotto a due anni e mezzo – afferma Giovanna Ferrari, mamma di Giulia Galiotto –. In questo periodo, gli era stato dato un lavoro a tempo pieno e a tempo determinato in un’azienda reggiana, dove svolgeva un lavoro analogo a quello di prima dell’arresto. Poiché rimaneva da adempiere la parte risarcitoria della sentenza, avevamo ottenuto il pignoramento di un quinto dello stipendio che percepiva dall’azienda reggiana durante la messa alla prova. Alla fine del luglio scorso, da quando è un uomo libero, si è licenziato. Ad oggi non sappiamo se e dove lavori». Manzini risulta risiedere ancora a Reggio Emilia. «Io ho ricevuto una cartella esattoriale per oltre 6mila euro, anche Elena ne ha ricevuta una e così anche mio marito – continua Giovanna –.Abbiamo presentato ricorso contro l’Agenzia delle Entrate: la tassazione è riferita all’intera somma che, molto probabilmente, non riceveremo mai. Eppure, ci sono arrivate le tasse da pagare, nonostante abbiamo ricevuto, finora, cifre irrisorie». «Riteniamo che sia uno schiaffo in faccia quello che appena finita la pena si licenzi – aggiunge Giovanna, riferendosi a Manzini –. Che poi lo Stato arrivi a chiedere le tasse è assurdo, ma noi non molliamo e abbiamo presentato tre ricorsi, uno per ogni cartella esattoriale ricevuta». Il femminicidio di Giulia Galiotto ha avuto una presa collettiva potentissima sulla comunità, toccata da vicino in tutti i suoi componenti da questa tragedia, e i suoi famigliari rappresentano un esempio di forza e tenacia, nel calvario, anche giudiziario e fiscale, di tutti questi anni. «La violenza economica è anche nelle istituzioni – conclude Giovanna –. Istituzioni che esercitano verso i parenti che chiedono giustizia diritti come quello di ottenere le tasse su tutto il risarcimento. L’ho ripetuto spesso: i soldi non sono il nostro problema, per fortuna. Sappiamo, tuttavia, che diverse donne svantaggiate dal punto di vista economico non affrontano percorsi giudiziari come il nostro e rinunciano al risarcimento, proprio per il rischio di trovarsi in questa situazione».l © RIPRODUZIONE RISERVATA