«Le mie estati in Etopia con i ragazzi di strada»
Il docente del Nobili Enrico Alberini racconta la sua esperienza: «Una volta a casa capisci di non dover dare per scontati i diritti»
Ha trascorso due estati in Etiopia con “Don Bosco Children” ad aiutare bambini e ragazzi di strada Enrico Alberini, docente dell’istituto Nobili di Reggio Emilia, che in questa intervista ci racconta com’è stato fare volontariato nel Paese africano, dove circa 5,5 milioni di bambini si trovano in circostanze difficili o inadatte.
Come mai ha scelto di fare questa esperienza?
«Sono state tante le ragioni. La prima è che volevo mettermi alla prova e là, nel ruolo di educatore, ho potuto farlo. Il secondo motivo è che mi piace molto creare legami con le persone e in Etiopia ho conosciuto tanti ragazzi di strada».
Ha avuto delle difficoltà?
«È stato sicuramente difficile capire la lingua, dato che nessuno parlava inglese. Soprattutto, andando in un Paese più povero, cambia il modo in cui ti guardano le altre persone. Sono tanti gli stereotipi legati all’essere europeo».
Qual è la differenza tra la vita degli adolescenti in Italia e in Etiopia dal suo punto di osservazione?
«Per noi la vita degli adolescenti in Etiopia è qualcosa di molto difficile da immaginare. Per esempio, lì dove sono stato nessuno ha un telefono: solo chi lavora ce l’ha. Quello che ho notato è che i ragazzi in questo Paese passano molto tempo insieme, che sia per strada o a casa: la loro vita è molto più condivisa. Un’altra differenza è che in Etiopia la maggior parte della popolazione è costituita da giovani sotto i trent’anni. Ho visto che molte volte nei confronti degli adulti provano un senso di paura e questo perché c’è molta violenza verso i bambini e i ragazzi».
Anche in Italia ci sono persone che vivono in strada, cosa cambia?
«La differenza è che in Etiopia la gente in strada ci vive e ci muore in grandi quantità. Anche in Italia ci sono i senza tetto, certo, ma i numeri non sono paragonabili a quelli dell’Etiopia, che è uno dei Paesi più poveri al mondo. In campagna ho visto la povertà dei contadini, in città quella delle persone in strada. Chi in città è in condizioni di estrema povertà vive nelle baracche o nelle discariche».
Le persone che in Etiopia vivono nelle fogne sono simili agli uomini talpa (The Mole People), così come li chiamano negli Stati Uniti?
«Dal mio punto di vista, la differenza maggiore è che in un paese ricco come gli Stati Uniti chi vive in queste circostanze ha forse più possibilità di riuscire ad uscire da una simile condizione. In Etiopia, invece, è molto più difficile: il Paese è molto povero e le persone che difendono e chiedono il rispetto dei diritti umani sono poche. Faccio il paragone con l’Italia: se qui un bambino non va a scuola intervengono i servizi sociali, in Etiopia no».
Erano molti i ragazzi e i bimbi che frequentavano la scuola dove è stato lei ?
«Nel 2023 nell’oratorio erano circa 400 le persone tra i tre e i 18 anni. Mentre nel 2024 i ragazzi erano tutti adolescenti ed erano circa un centinaio».
Che rapporto aveva con i ragazzi?
«Un bel rapporto. Lì i ragazzi adolescenti sono molto accoglienti nei confronti degli stranieri, anche se adulti. In Italia, dal mio punto di osservazione di docente, vedo meno il desiderio dei ragazzi di rapportarsi con gli adulti».
Come ha vissuto la nostalgia di casa e degli amici? Se l’ha avuta...
«Io non sono una persona nostalgica quindi non mi ha toccato molto, se devo essere sincero. Soprattutto ho vissuto quest’esperienza con degli amici e con delle persone che lavoravano con me, che mi hanno aiutato molto. Sicuramente, in prospettiva, inviterei volentieri i miei amici e la mia famiglia a fare la mia stessa esperienza o un’altra simile».
Com’è stato il ritorno a casa?
«Secondo me il rientro è una delle parti difficili perché una volta a casa noti di più le differenze tra come le persone vivono là e come noi viviamo qua. Soprattutto, l’impressione che hai, è che in Italia sprechiamo molte cose. Secondo me noi abbiamo molte cose e quando torni a casa dopo un’esperienza del genere ti viene da pensare che siano troppe.
Una volta rientrato, inoltre, ti rendi proprio conto di tutti diritti che abbiamo noi in Italia e che là, invece, non sono garantiti. Qui noi pensiamo che ciò che abbiamo acquisito ci è dovuto, senza fare la nostra parte per mantenerlo: vedi la sanità o l’istruzione pubblica. Quello che capisci, soprattutto, è che questi diritti non sono scontati e che bisogna proteggerli».l
*Studente dell’istituto Nobili di Reggio Emilia