«Così gli smartphone “modellano” il cervello dei bambini: un rischio per l’apprendimento»
Lo psicologo Giuseppe Lavenia mette in guardia i genitori: «E’ necessario stabilire limiti precisi»
«La ricerca EYES UP conferma un fenomeno che da tempo osserviamo nelle aule scolastiche e negli studi psicologici: l’uso precoce e non regolamentato degli strumenti digitali ha un impatto profondo sulle capacità cognitive e sul rendimento scolastico». Commenta così il dottor Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta presidente dell’Associazione nazionale DI.TE., le evidenze che emergono dalla ricerca EYES UP circa la relazione tra precocità digitale e performance scolastiche. «Il punto chiave è che la mente di un bambino si sviluppa attraverso le esperienze che vive. Un bambino che cresce con uno schermo sempre davanti agli occhi non sta solo assorbendo informazioni digitali, ma sta modellando il proprio cervello secondo le logiche del digitale: immediatezza, stimoli rapidi, contenuti frammentati, gratificazione istantanea. Ma l’apprendimento scolastico non funziona così. Imparare è un processo lento, che richiede concentrazione, riflessione, fatica. E se abituiamo un bambino a ottenere tutto subito gli stiamo togliendo la possibilità di sviluppare quelle capacità essenziali per affrontare la scuola e la vita. Se una risposta si può trovare su Google in pochi secondi, perché mai dovrebbero impegnarsi a ragionare su un problema?».
Come incide l’utilizzo precoce degli smartphone nell’apprendimento scolastico?
«Il primo impatto negativo riguarda l’attenzione. Gli smartphone insegnano al cervello un modello di attenzione “discontinua”, basata su brevi stimoli sensoriali che si susseguono rapidamente: una notifica, un video di pochi secondi, un’immagine che scorre via. Il problema è che la scuola funziona al contrario: richiede attenzione sostenuta, capacità di elaborazione e organizzazione delle informazioni. Un ragazzo che passa molto tempo sugli schermi fa fatica a mantenere la concentrazione su una lezione lunga, perché il suo cervello si è abituato a ritmi più rapidi e frammentati».
Sono necessarie delle regole? Chi dovrebbe dettarle e a chi?
«Le regole non sono solo necessarie, sono vitali. Ma devono essere regole coerenti, condivise e applicate con fermezza. Non si può pensare che sia solo compito degli insegnanti educare i ragazzi all’uso corretto del digitale, perché il problema nasce prima, dentro le case. È necessario stabilire limiti precisi: età minima per l’uso dello smartphone, fasce orarie di utilizzo, momenti della giornata in cui si spegne tutto per tornare alla realtà. Ma attenzione: i divieti rigidi spesso generano reazioni opposte, spingendo i ragazzi a trasgredire. Le regole devono essere accompagnate da un’educazione al digitale, che insegni come il cervello reagisce all’uso eccessivo degli schermi e quali sono i rischi di una vita vissuta solo attraverso uno smartphone».
Come si possono aiutare i genitori ad avere un approccio corretto all’utilizzo della tecnologia?
«I genitori hanno bisogno di essere educati al digitale tanto quanto i figli. Per aiutarli servono due cose: consapevolezza e alternative. Consapevolezza significa far capire che il digitale non è neutrale, ma modifica il comportamento, l’attenzione, le emozioni. Un bambino che passa troppo tempo sullo schermo sviluppa meno capacità di autoregolazione, ha più difficoltà a gestire la frustrazione e diventa più vulnerabile agli stimoli esterni. Alternative significa creare occasioni di socialità reale, di gioco, di scoperta. Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di insegnare ai bambini che il mondo è più grande di uno schermo. E questo dipende prima di tutto dagli adulti che li circondano». © RIPRODUZIONE RISERVATA