Francesco Profumo: «L’intelligenza artificiale è la seconda rivoluzione di Gutenberg, dobbiamo imparare a imparare»
L’ex Ministro è presidente della Fondazione Reggio Children: «Da qui partiamo per un’educazione per tutta la vita, da 0-6 a 99 anni»
Reggio Emilia «In questo momento storico, con l’avvento dell’intelligenza artificiale, ci troviamo in quella che amo definire la seconda rivoluzione di Gutenberg. Prima della stampa, il sapere veniva trasferito a pochi: con la nascita del libro questo meccanismo si è rotto. Adesso, con la seconda rivoluzione, abbiamo a disposizione un sapere molto più ampio e occorre cambiare i meccanismi di accesso per acquisire le competenze necessarie a interrogarlo e utilizzarlo. È un processo di grande interesse per il quale bisogna partire dai più piccoli. Uno degli impegni dell’Europa dovrebbe essere questo». Parola di Francesco Profumo, già ministro dell’istruzione nel Governo Monti e presidente di Iren, oggi presidente della Fondazione Reggio Children-Centro Loris Malaguzzi - Ets di Reggio Emilia.
Presidente, il suo legame con l’Emilia affonda le radici a ben prima dell’incarico nella Fondazione.
«Arrivai a Ferrara dopo le prime scosse di terremoto nel 2012 (da ministro, ndr). Visitai l’università con l’allora rettore, Patrizio Bianchi, per cercare di risolvere i danni. Andai a dormire in prefettura per raggiungere Mirandola l’indomani ma la tappa saltò. Mia figlia mi chiamò per chiedere se stessi bene: allora appresi che il terremoto aveva colpito ancora. Andai a Reggio a visitare una delle scuole: nonostante fossero giornate tristi, stare con i bambini mi colpì molto: giocavano e al tempo stesso imparavano, erano davvero bravissimi».
Qual è la sua ricetta contro la povertà educativa?
«Il tema è di dimensioni molto vaste. Il fondo legato alla povertà educativa è rilevante. Sostiene progetti cui possono partecipare istituzioni, scuole di diversi livelli ma anche il terzo settore e soggetti pubblici, per riunire chi ha più esperienza con chi è più fragile, cercando di migliorare la qualità dell’offerta. Un risultato è stato ottenuto: il termine povertà educativa prima non esisteva. Questo progetto ha portato la discussione al giusto livello anche se la strada è ancora lunga».
Come incide l’intelligenza artificiale sull’istruzione?
«Sono convinto che i modelli pedagogici siano figli della rivoluzione industriale in cui sono sviluppati. Oggi siamo nella quarta rivoluzione industriale. Le precedenti sono state caratterizzate dal fatto che alla base c'era una nuova forma di energia con una riduzione dell’attività muscolare delle persone. Queste rivoluzioni industriali sono durate 70 o 80 anni, poco meno l’ultima. Il risultato è che quello che si imparava a scuola era per tutta la vita e c’era coincidenza tra conoscenze, il bagaglio che si porta nello zaino della vita, e competenze, che diventano obsolete più velocemente. Ciò ha determinato un modello di vita con una prima parte in cui si va a scuola, la seconda di lavoro, la terza di quiescenza. Ora, per la prima volta, non c’è una riduzione dell’attività muscolare, ma l’ausilio dell’attività cerebrale con un’intelligenza artificiale. Questa rivoluzione industriale durerà poco forse 20 anni. Forse meno. E le persone dovranno tornare a scuola tante volte. Nella prima fase della vita dovranno imparare a imparare. Sarà una vita più interessante, ma più faticosa, se il tutto non sarà bilanciato. L’intelligenza artificiale metterà le persone nella condizione di avere molto sapere a disposizione. Sarà necessario capire come interrogarlo. I dati a disposizione conterranno anche inesattezze, fake news: ciò fa sì che si debba avere un’intelligenza naturale per gestire la situazione. Non credo che questa visione impoverisca il soggetto umano, ma sono necessarie diversi modi con cui educare. È la seconda rivoluzione di Gutenberg».
Cosa pensa del dibattito creato dalle indicazioni del ministro Valditara in merito alla cultura umanistica? Potrebbero favorire “l’imparare a imparare”?
«Credo che le nuove generazioni debbano essere formate con il metodo socratico: dialogo, maieutica e dubbio come strumento di conoscenza. La rilevanza di questo metodo nell’epoca dell’Ia è che l’educazione deve avere come base lo sviluppo del pensiero critico e la capacità d’interrogazione, più che la trasmissione di nozioni. Questa è una vera rivoluzione. “L’imparare a imparare” non è uno slogan, ma una necessità per le persone che dovranno tornare più volte a scuola per aggiornare le loro competenze. Una cultura ibrida, con tanti tratti culturali diversi e una robusta componente umanista non è un’opzione, ma una necessità».
Quali novità per la Fondazione Reggio Children, che si riferisce a metodi educativi famosi in tutto il mondo?
«Sono molto contento di occuparmi dell’educazione di bambine e bambini, perché da qui partiamo come Fondazione per un’educazione per tutta la vita da 0-6 a 99 anni e perché l’educazione oggi non può accontentarsi di piccoli ritocchi, ma deve ambire a rispondere a grandi domande. I linguaggi dei bambini debbono essere ancora di più valorizzati in questa fase storica e, come detto, gli strumenti dovranno anche essere ripensati, per essere adeguati alle nuove domande. Di questo ci stiamo occupando. Certo, dovremo investire di più sulle conoscenze, che dovranno essere frutto di molti linguaggi, più di quelli che ci sono stati fino ad adesso. Naturalmente, perché si eviti che ci siano troppe differenze, sarà necessaria un’importante operazione di contrasto alla povertà educativa, non solo nei singoli Paesi, ma in tutto il mondo. Ancora una volta, credo che le cinte daziarie non siano più sufficienti e occorre che la priorità educativa diventi davvero la numero uno per tutti, non solo per noi».