La madre di Saman: «L’ho vista sparire nel buio». Il padre: «A ucciderla sono stati lo zio e i cugini»
La donna, condannata in primo grado all’ergastolo, ha parlato per la prima volta al processo d’Appello. Ha parlato anche il padre Shabbar che accusa gli altri parenti
Bologna «In base alle dichiarazioni rese da Danish, penso sia stato lui e gli altri due (i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, assolti in primo grado, ndr)». Così ha dichiarato Shabbar Abbas, padre di Saman, nel corso delle sue dichiarazioni spontanee davanti alla Corte d'Assise d'Appello di Bologna, dove è in corso il processo per l'omicidio della figlia, avvenuto nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021 a Novellara, in provincia di Reggio Emilia «Il 29 aprile non è successo niente. È successo tutto il 30, ma ancora adesso io non so cosa sia realmente accaduto. Stando alle dichiarazioni di Danish, che ha detto che erano presenti lui e gli altri due, penso siano stati loro tre». Danish Hasnain, zio della ragazza, è stato condannato a 14 anni in primo grado, mentre i due cugini della giovane, Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, sono stati assolti. Lo zio nell’udienza precedente aveva dato la colpa ai cugini, indicandoli come coloro che hanno scavato la buca. Ma aveva detto di non sapere chi era stato.
Il sospetto e la chiamata a Danish
Shabbar Abbas ha ricostruito quella sera, raccontando di aver sentito la figlia parlare al telefono poco prima di uscire di casa: «Saman quella sera si incamminò verso Novellara. Era buio e non abbiamo visto nulla. Poco prima, l'avevo sentita dire al telefono che si stava preparando, che aspettava che qualcuno venisse a prenderla. Per questo chiamai Danish, chiedendogli di venire con Ikram e Nomanhulaq per dare una lezione al ragazzo, senza però picchiarlo troppo». Ha poi aggiunto: «Mi dissero che ci avrebbero pensato loro, ma ero un po' preoccupato. Sono uscito per controllare, ma non vedendo nessuno, sono rientrato portando in un sacchetto gli abiti di mia moglie. La mattina dopo, verso le 7:30, sono venuti a casa e, dopo il caffè, ho chiesto loro cosa fosse successo. Mi hanno risposto: 'niente”».
Il dolore per la distanza dalla figlia
Nel corso della sua testimonianza, Shabbar Abbas ha parlato anche della sofferenza vissuta dalla moglie, Nazia Shaheen, dopo l'intervento dei Servizi sociali, che avevano allontanato Saman dalla famiglia: «Dal momento in cui sono intervenuti i Servizi sociali, mia moglie ha iniziato a stare male. L'ho vista dare testate al muro, smettere di mangiare. Andavo in comunità a chiedere di farcela vedere, ma loro niente. Io la rassicuravo, dicendole che presto l'avremmo incontrata di nuovo, ma lei peggiorava sempre di più.». Poi ha aggiunto: «Nessun servizio sociale o comunità può capire il dolore di noi genitori. Viviamo nella speranza di poter almeno rivedere nostro figlio. Per il resto, siamo già morti».
La partenza per il Pakistan e la scoperta della morte
Parlando dei giorni successivi alla scomparsa di Saman, Shabbar ha voluto chiarire il motivo della loro partenza per il Pakistan: «Voglio partire dal 14 aprile, quando ho chiesto di prenotare i biglietti per il Pakistan a un signore indiano. Non siamo stati noi genitori a uccidere nostra figlia, né ho permesso ad altri di farlo. Ho faticato molto per crescerli. Ho un forte dolore per quanto accaduto e ci convivrò per sempre, da quando ho scoperto della morte di Saman in Pakistan».
Il desiderio di rivedere il figlio
Infine, Shabbar Abbas ha ribadito la sua sofferenza e il desiderio di poter almeno rivedere il figlio Ali: «Noi preghiamo solo di poter rivedere nostro figlio. Per il resto, è come se fossimo già morti».
Le parole della madre
«Siamo usciti di casa insieme, lei camminava velocemente davanti a me e poi l'ho vista sparire». Con queste parole, Nazia Shaheen, madre di Saman Abbas, ha parlato per la prima volta in udienza. «Saman aveva manifestato più volte l'intenzione di tornare in comunità, nonostante io e mio marito la pregassimo di ripensarci", ha raccontato. "A un certo punto, vedendo che stavo male, aveva accettato di rimandare la partenza, ma poi ha cambiato idea». La donna ha anche contestato alcune testimonianze, in particolare quelle del figlio. «Non le ho dato un documento prima che uscisse, ma 200 euro, perché aveva espresso il desiderio di comprarsi un cellulare», ha dichiarato. «Quando è uscita, siamo usciti anche io e Shabbar: penso che si veda dalle immagini, ma sarebbe utile avere una registrazione audio di quello che le abbiamo detto in quei momenti, cioè di non andarsene».
L’ultima sera a casa
Shaheen ha ricostruito le ultime ore trascorse con la figlia, insistendo sull’assenza di conflitti. «Sono uscita di casa per prendere aria e lei mi ha seguita più volte. Quando siamo rincasate, ho ripreso a piangere. Lei mi ha detto che per quella sera avrebbe evitato di andarsene, ma che lo avrebbe fatto comunque». «Non c'è stata alcuna discussione, come invece è stato detto», ha aggiunto. «Shabbar continuava a dirle di restare a casa, era l’unica cosa che volevamo: che rimanesse con noi». Secondo l’imputata, la figlia aveva insistito per andarsene nonostante fosse ormai buio. "Io e mio marito la pregavamo di restare, ho chiesto anche ad Ali di parlarle. Quando siamo scese, ci siamo sedute in cucina: io e il padre ai suoi piedi, implorandola di non andarsene a quell’ora tarda".
L’ultima immagine di Saman
«L'ho solo vista allontanarsi. Non ho visto altro», ha ribadito la madre. «Se avessi visto qualcosa, mi sarei battuta per fermare qualsiasi aggressione, perché sono una mamma». Shaheen ha contestato ancora una volta la versione del figlio, affermando di non essere stata presente al momento della morte della figlia e di non aver visto né Danish né i cugini. «Io non ho visto nessuno» ha dichiarato. Dopo aver visto Saman allontanarsi, ha detto di essere rientrata in casa, di aver raggiunto il figlio al piano di sopra e di aver iniziato a piangere.
Ha anche affermato che la partenza per il Pakistan, avvenuta il giorno successivo, era stata programmata e che sia Saman che il fratello ne erano a conoscenza. «Shabbar doveva rientrare dopo una settimana», ha spiegato. «Dopo un paio di settimane, venne qualcuno a casa nostra a dire che Saman non si trovava più. Quando chiesi a mio marito se fosse vero, mi disse di averlo saputo solo pochi giorni dopo il nostro arrivo in Pakistan, ma non me lo aveva detto perché stava male».
Il racconto della giornata del 30 aprile
Durante le dichiarazioni spontanee, Shaheen ha ringraziato il presidente della Corte, Domenico Stigliano, per l’assenza delle telecamere e ha raccontato la giornata del 30 aprile. «Mi sono svegliata e ho fatto le faccende domestiche. Saman ha fatto colazione con il fratello e quel giorno ha espresso il desiderio di tingersi i capelli. Suo padre le ha comprato la tinta e lei è andata in bagno a farsela. Dopo la doccia, si è vestita, truccata e mi ha chiesto come stesse. Mi ha chiesto di baciarla e l'ho baciata sulle mani e sulla guancia», ha raccontato, piangendo. Poi, secondo la madre, Saman avrebbe chiesto al fratello di scattarle delle foto con il padre prima di partire per la comunità. «Siamo scese al piano di sotto, lei giocava con il fratello mentre io preparavo da mangiare. Shabbar mi ha preso in giro perché il digiuno era già passato e io non avevo ancora mangiato». Quando Saman ha visto la madre piangere, le avrebbe chiesto il motivo. «Le ho detto di non andare» ha spiegato Shaheen. «Siamo saliti tutti e quattro al piano di sopra. Shabbar era nella nostra stanza, io, Ali e Saman siamo andati in camera loro. Lei ha ribadito che quella sera sarebbe andata via. Le ho chiesto di non parlarne, perché ogni volta che lo diceva mi sentivo male».
La difesa della madre
Nel suo lungo intervento, Shaheen ha cercato di respingere le accuse e di allontanare da sé ogni responsabilità. «Mi sento sotto pressione, soffro di depressione» ha dichiarato, cercando di giustificare il proprio comportamento. Il suo racconto, però, si discosta da altre testimonianze e dagli elementi emersi nelle indagini. L’udienza prosegue con il dibattimento, mentre in aula si respira un clima di forte tensione. La verità sulla morte di Saman Abbas è ancora oggetto di confronto tra accusa e difesa.