Gazzetta di Reggio

Reggio

Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia

«Si deve parlare di “mafie del Nord”: aggiornare il nostro linguaggio per far percepire la nuova realtà criminale»

Elisa Pederzoli
«Si deve parlare di “mafie del Nord”: aggiornare il nostro linguaggio per far percepire la nuova realtà criminale»

Francesca Rispoli (Libera): «Sono diventate imprenditoriali, ma la violenza resta»

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 «È tempo di smettere di usare termini come “contagio”, “infiltrazione” o “cancro”, che suggeriscono un tessuto sano attaccato da un elemento estraneo. Come sottolinea Rocco Sciarrone, non dobbiamo più dire mafie “al Nord’”, ma mafie “del Nord”. C’è stato un cambiamento di paradigma: non parliamo più di gruppi criminali che si espandono replicando i modelli tradizionali. Le mafie al Nord sono parte del sistema e hanno trovato modalità adattive specifiche nei diversi contesti locali. Dobbiamo riconoscere questa trasformazione e aggiornare il nostro linguaggio per far percepire la nuova realtà criminale. Il modello tradizionale di analisi delle mafie, valido fino agli anni “90, oggi non basta più». A parlare è Francesca Rispoli, presidente nazionale di Libera. La Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie nell’anno in cui l’associazione compie trent’anni è l’occasione di una riflessione e un bilancio. «Sono stati 30 anni intensi di attività, durante i quali Libera ha attraversato importanti cambiamenti e ampliamenti. Inizialmente, l’associazione si è strutturata come una rete di secondo livello, aggregando diverse realtà associative. Con il tempo, è emersa una nuova sfida: creare condizioni di partecipazione per i singoli cittadini. Questo ha portato a una modifica statutaria che ha reso possibile l’adesione individuale. Successivamente, è nata la formula dei presìdi territoriali, introdotta nel 2005. Questa evoluzione ha permesso di rafforzare la presenza dell’associazione sul territorio, favorendo una partecipazione più ampia e diretta. Un altro orizzonte che si è sviluppato ulteriormente è quello internazionale. Dal 2000, con l’adozione della Convenzione di Palermo contro il crimine organizzato transnazionale, Libera ha iniziato a lavorare in rete con associazioni di diverse parti del mondo che si occupano di criminalità organizzata. Il termine “mafia” viene talvolta stereotipato e non sempre riflette pienamente la presenza della criminalità nei vari territori. Oggi possiamo contare su una rete internazionale che si estende in Sud America, Europa e Africa. Molte di queste attività non sono semplicemente replicate, ma vengono realizzate attraverso co-progettazione. Un altro elemento significativo è la nascita di spazi fisici che testimoniano il radicamento della cultura della legalità promossa da Libera. Tra questi, il centro di documentazione e spazio espositivo Extralibera, situato a Roma in via Stamira, in un bene confiscato alla criminalità organizzata. Questo luogo, che un tempo ospitava una sala scommesse e videolottery, oggi è un punto di riferimento per studenti, cittadini e gruppi associativi».

A proposito di beni confiscati, a Libera dobbiamo la legge del 1996. Funziona o ci sono ancora ostacoli da superare?

«La gestione dei beni confiscati alla mafia è un tema estremamente complesso. Si tratta di un patrimonio enorme. L’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati ha fatto passi avanti, ma continua a scontare una carenza di personale e risorse. Bisogna inoltre considerare che il patrimonio mafioso è una delle principali fonti di potere delle organizzazioni criminali. Spesso i beni confiscati vengono occupati illegalmente, non vengono rilasciati per anni o subiscono atti di vandalismo. Molti risultano intestati a soggetti che rendono complesso il processo di confisca. Nonostante queste criticità, esistono molti risultati concreti. In Italia sono state censite oltre mille esperienze di riutilizzo sociale dei beni confiscati, in gran parte gestite dal Terzo Settore senza contare quelli dati alle istituzioni pubbliche. Questo dimostra che la legislazione in materia ha avuto un impatto significativo. L’idea iniziale promossa da Libera prevedeva l’uso del Fondo Unico per la Giustizia, che raccoglie i capitali confiscati alle mafie, per sostenere il riutilizzo sociale dei beni, ma ancora non viene fatto».

A dieci anni dall’inchiesta Aemilia, in Emilia la lotta alle mafie resta d’attualità. Anche le più recenti inchieste ci descrivono una criminalità sempre più imprenditoriale, dedita a fatture false e società cartiera, con imprenditori sempre meno vittime. Come si può contrastare questo?

«Le mafie hanno attuato una strategia molto precisa: abbassando il livello di violenza agita per rendersi socialmente più accettabili. Avevano compreso che alzare il livello dello scontro e della violenza portava a una reazione repressiva molto più forte. Possiamo quindi dire che questo risultato è stato pienamente raggiunto. A questo si aggiunge un altro elemento, legato alla crisi economico-finanziaria: la difficoltà di accesso al credito e la scarsità di capitali nel mercato legale rendono i fondi mafiosi particolarmente appetibili. Il narcotraffico genera enormi quantità di denaro, che devono essere riciclate nell’economia legale. Questo fenomeno sta portando a un crescente avvicinamento tra economia legale e capitale mafioso. Alcuni imprenditori e professionisti che cercano questi contatti sottovalutano il fatto di avere a che fare con mafiosi. L’elemento della violenza non è scomparso: è stato semplicemente messo ai margini. La violenza riemerge, con forme di pressione mirata: imposizioni ai fornitori, ingresso forzato nelle compagini societarie, acquisizione parziale o totale della proprietà di un’impresa».

Come si fa a farglielo capire?

«Questo è il punto più delicato in assoluto. Parliamo di persone che vedono le loro attività economiche a rischio, imprenditori che agiscono pensando di portare avanti una strategia d’impresa e che, in alcuni casi, finiscono per diventare partner delle organizzazioni mafiose. Dobbiamo riproporre costantemente, e mettere sotto gli occhi di tutti la vera natura delle mafie. Non bisogna rimuovere l’elemento della violenza e della sopraffazione. Le mafie non sono semplicemente attori economici con grandi capitali da investire: sono un’alternativa allo Stato democratico, un potere parallelo che punta al controllo del territorio. Non vanno mai sottovalutate. La sensibilizzazione deve passare anche attraverso le testimonianze di chi ha vissuto questa realtà, di chi inizialmente ha sottovalutato il fenomeno e poi ne è rimasto vittima. Raccontare queste storie, farle conoscere, significa impedire che ciò che è accaduto a loro possa ripetersi».

Cosa sogna per il futuro di Libera e per il Paese?
«Dopo 30 anni, il sogno è che ci sia un’azione comune contro le mafie di maggiore intensità e continuità. Sappiamo che molti rappresentanti delle istituzioni sono convintamente parte di questo fronte di contrasto, ma non possiamo negare che nel corso degli anni ci siano stati anche casi di deviazione, di infedeltà istituzionale, di soggetti che hanno tradito il loro ruolo pubblico. Questa realtà rappresenta un problema, perché facilita l’azione di chi vuole delinquere e costruire un “sottostato” all’interno dello Stato. Le operazioni condotte finora dimostrano che esiste una forte capacità investigativa e che è possibile colpire i patrimoni mafiosi».© RIPRODUZIONE RISERVATA