A Reggio Emilia è emergenza crack e alcol: «E i giovani cominciano molto presto»
Ci sarebbe il consumo di questa droga dietro lo stillicidio di finestrini in frantumi secondo il Servizio dipendenze patologiche dell’Ausl
Reggio Emilia Anche l’osservatorio del Servizio dipendenze patologiche dell’Ausl lo conferma: l’emergenza di questi tempi, a Reggio, è il consumo di crack, e lo stillicidio di finestrini in frantumi alla ricerca di spiccioli abbandonati sui cruscotti o di altri oggetti da rivendere, è spiegato in gran parte con l’aggressività che questa droga produce combinata poi con l’esigenza della persona dipendente dal crack di trovare i soldi per una "pippata" che spezzi l’astinenza. Una risposta a questa emergenze è sicuramente quella dell’ambulatorio bassa soglia e, soprattutto, nel caso dei "crackomani" dei drop-in, ovvero spazi di "decompressione" in cui i tossicodipendenti possano in qualche modo alleviare il loro malessere, anche solo rifocillandosi o stando al caldo.
Crack e alcol
Sono le persone dipendenti dal crack quelle che assorbono buona parte dell’impegno e delle professionalità degli operatori del Servizio dipendenze patologiche, una struttura che negli anni ha cambiato il nome (prima era il Sert, il Servizio per le tossicodipendenze) ma soprattutto ha dovuto cambiare, allargandolo, il proprio raggio d’azione. Perché negli anni si sono aggiunte, a quella da sostanze stupefacenti, anche altre dipendenze, come quella dall’alcol o quella dal gioco d’azzardo. Al secondo posto per numero di casi che, a Reggio, i servizi sono chiamati ad affrontare, ci sono le storie di dipendenza dall’alcol con un duplice obiettivo: rendere merito a coloro che, dopo aver raccolto la sua richiesta d’aiuto, stanno cercando di farle recuperare il tempo perduto a cercare consolazione nell’alcol. Ma anche far sapere a chi dovesse trovarsi nella sua stessa situazione che a Reggio c’è un servizio che funziona, fatto di persone che professionalmente si mettono in ascolto, non ti giudicano e ti aiutano a rialzarti.
Ragazze e ragazzi
Invero, nel loro lavoro quotidiano, gli operatori del SerDp di Reggio hanno probabilmente il polso della situazione e sono in grado di lanciare, ad esempio, un vero e proprio allarme sui giovani. Anche soltanto per un "non-dato", legato al fatto che quella di agganciare i giovani è una delle operazioni più complesse al giorno d’oggi: «Di certo - sottolinea Antonio Nicolaci che all’Ausl è direttore del programma aziendale dipendenze patologiche - sia per il consumo di alcol sia per l’assunzione di sostanze abbiamo riscontri epidemiologici che ci dicono che le prime esperienze con la cannabis avvengono attorno ai 14 anni e come per l’alcol, è difficile distinguere se siano più le ragazze o i ragazzi». Anche perché in questa sorta di "rito di passaggio" poi non tutti diventano dipendenti. «Per questi giovani e giovanissimi - sottolinea Nicolaci - la situazione di isolamento, di clausura durante il periodo del Covid ha probabilmente fatto da detonatore. Ora è fondamentale lavorare sulla prevenzione, quindi trovare occasioni anche, fuori dalla scuola e dalla famiglia per stabilire un contatto. E per fare questo è importante seguire l’esempio virtuoso che a Reggio è da anni costituito dagli Open G, i consultori giovanili che si occupano prevalentemente di educazione sentimentale e prevenzione in ambito sessuale. Il modello che credo debba essere esportato anche nel campo della lotta alle dipendenze - dice Nicolaci - è quello di ambienti che non siano connotati come presidi sanitari ma possano invece diventare punti d’ascolto in cui i ragazzi possono trovare un aiuto senza dover necessariamente essere giudicati».
Ragazzi a parte, l’utente medio dei servizi dell’Ausl per dipendenze patologiche ha in media tra i 35 e i 40 anni ed è predominante il genere maschile su quello femminile «anche se i casi di dipendenze da parte delle donne sono rari ma in compenso sono assai più complessi, perché magari alle dipendenze vanno ad aggiungersi storie di abuso o violenza». Anche e soprattutto per casi di questo tipo l’approccio dei SerDp non può che essere multidisciplinare. Spesso su un singolo caso lavorano, ciascuno con le proprie competenze, medici, psicologi, psichiatri, infermieri, terapeuti della riabilitazione. E i risultati di questo lavoro d’équipe alla fine si vedono. © RIPRODUZIONE RISERVATA