Speciale Liberazione, l’appello di Cristian Ferrari: «Cerco i parenti della fornaia tedesca che salvò il mio bisnonno lanciandogli il pane nel campo di lavoro a Norimberga»
Il diciottenne di Bibbiano, che di recente è tornato da una gita scolastica ad Auschwitz, è alla ricerca dei discendenti della panettiera
Reggio Emilia «Il mio bisnonno, Gino Gozzi, fu prigioniero, negli anni terribili della seconda guerra mondiale, di un campo vicino a Norimberga. A rendere meno dura la profonda sofferenza di quel periodo che sembrava interminabile fu una fornaia che gli lanciava le pagnotte al di là della recinzione. Quelle pagnotte si trasformarono nella salvezza del mio bisnonno. Vorrei tanto conoscere i discendenti di quella donna dal grande cuore».
Cristian Ferrari ha 18 anni, vive a Bibbiano e frequenta la quinta superiore all’istituto D’Arzo. Da sempre è appassionato di storia, Cristian ha un grande desiderio: quello di risalire ai famigliari della fornaia che aiutò il bisnonno a sopravvivere nei duri anni della prigionia. E lancia un appello a istituzioni o cittadini che potrebbero possedere anche solo una tessera di quel grande mosaico che rappresenta questa storia. In questa ricerca, Cristian è aiutato dal nonno - e figlio di Gino, prigioniero vicino a Norimberga - Antonio Gozzi, con il quale ha un legame speciale: i due coltivano insieme numerosi interessi. E si sono incamminati nella storia del bisnonno di Cristian, cercando di ricomporre le varie parti della sua biografia, che rappresentano uno spaccato importante della storia mondiale, al tempo stesso.
«Ho conosciuto la storia del bisnonno tramite mia mamma Chiara - racconta Cristian -. In febbraio, grazie a Istoreco, ho potuto vivere un’esperienza straordinaria: ho partecipato a un a gita di classe ad Auschwitz e Cracovia. L’ingresso nel campo di concentramento richiede una forza speciale e mi ha permesso di modificare il mio pensiero e la mia visione rispetto a questo tema. Nonno Antonio mi ha, inoltre, parlato in modo approfondito del suo papà e mio bisnonno Gino. Sono rimasto profondamente colpito dalla sua storia. E dalla fornaia che gli lanciava le pagnotte al di là della rete del campo di lavoro vicino a Norimberga, all’interno del quale mio nonno era stato costretto a lavorare nella fabbrica».
A ripercorrere come Gino Gozzi finì nel campo di lavoro è il figlio Antonio, nonno di Cristian: «Il mio papà era un soldato e stava svolgendo il servizio di leva in Grecia, quando l’Italia era alleata con i tedeschi. Quando la situazione si capovolse, i tedeschi invasero la Grecia e papà fu catturato, caricato su una tradotta (così si chiamavano quei treni maledetti) e stipato in un vagone merci. Quando arrivarono in Germania, sottoposero papà a un interrogatorio: chi sapeva fare qualcosa veniva separato da chi non aveva alcuna competenza. Papà, che era un contadino, arrivò insieme a un suo amico originario di Cortile di Carpi, con il quale era in Grecia e che faceva il saldatore. Suggerì a mio padre di dire che sapeva fare lo stesso mestiere con il patto che lo avrebbe aiutato. Così gli venne risparmiata la vita e fu destinato al lavoro all’interno di una fabbrica in un campo vicino a Norimberga. Papà non parlava volentieri di quei tempi, comprensibilmente. Ci disse solo che lui e i suoi compagni si erano salvati perché una ragazza, figlia del fornaio della zona ci portava i crostini secchi che avanzavano. Trovare un tedesco che ti faceva del bene, a quei tempi, era qualcosa di insolito. Il mio papà, il suo amico e un terzo compagno di lavoro, dividevano in tre parti i crostini per assicurarsi di non perderne nemmeno una briciola».
Per dare un’idea dell’inferno di quei luoghi, «papà venne preso a frustato perché andò in un bidone della spazzatura per recuperare bucce di patate con cui sfamarsi», aggiunge Antonio. Gino Gozzi tornò a casa nel 1944 e pesava all’incirca 40 chili, aveva la polmonite, ma la sua fibra robusta gli permise di sopravvivere. Gino ha vissuto fino a 90 anni e si è spento nel 2005.