Operazione Sugar beet contro la 'ndrangheta: tutti i nomi degli arrestati
Sotto accusa una nuova società che per i carabinieri avrebbe operato aggirando la confisca
Reggio Emilia Sono accusati, a vario titolo, di avere dato vita a un’attività imprenditoriale che favoriva la ’ndrangheta. E di avere, tra l’altro, sottratto i maggiori clienti della nuova società a quelle sottoposte a confisca, con una drastica riduzione dei ricavi per queste ultime. All’alba di ieri è scattata l’operazione “Sugar beet”, frutto di un’indagine minuziosa coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna, con cui i carabinieri del Ros (Reparto operativo speciale) con i militari del Comando provinciale di Reggio Emilia hanno dato esecuzione a un’ordinanza cautelare emessa dal gip di Bologna nei confronti di sei indagati. I reati contestati commessi in concorso sono: il trasferimento fraudolento di valori, l’elusione dei provvedimenti penali di confisca. Tutto aggravato dall’aver agevolato la ’ndrangheta in Emilia Romagna. Le misure cautelari sono state emesse per: Cesare Muto (classe 1980), la moglie Rosetta Pagliuso (1984), Rossella Lombardo (1973), Benito Muto (1994) e Francesco Muto (1996), questi ultimi due figli di Antonio Muto e Rossella Lombardo, nipoti di Cesare. Tutti risulterebbero residenti a Gualtieri e sono assistiti dall’avvocato Roberto D’Agostino. Tra gli indagati c’è anche Marco Duconte, assistito d’ufficio dall’avvocato Maurizio Attolini.
A carico dell’autotrasportatore Cesare Muto è stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare. Muto (1980) si trovava già recluso all’istituto penitenziario di Voghera da circa un mese in seguito alla condanna definitiva a 2 anni e otto mesi inflittagli nell’ambito del processo Grimilde. Per gli altri cinque sono stati disposti gli arresti domiciliari. In particolare a Cesare Muto, Francesco Muto e Duconte viene contestato il trasferimento fraudolento di valori, mentre gli altri indagati rispondono del reato di elusione di beni confiscati. Proprio oggi è prevista, a Bologna, un’udienza riguardante misure di prevenzione personale e patrimoniale che hanno colpito Cesare e Antonio Muto, in parte confiscate e la cui confisca, per un’altra parte, era stata rigettata. «Manca il legame di attualità tra Cesare Muto e l’associazione criminosa, così come stabilito dal tribunale di Bologna - sezione misure di prevenzione - afferma l’avvocato D’Agostino -. Le vicende non si inquadrano in nessun modo se non richiamando vecchie vicende che, non sono, appunto, sicuramente attuali». Entrando nel dettaglio, come verificato dalla Dda, è risultato il trasferimento del business dalle due aziende in amministrazione giudiziaria a un’altra ditta che avrebbe puntato ad aggiudicarsi gare pubbliche, cercando di entrare nella White list, la certificazione antimafia necessaria per partecipare. In un caso è affiorato come il trasferimento dei guadagni inferiori derivanti dalla campagna di barbabietole (da qui il nome dell’indagine, “Sugar beet”) coincidessero con quelli registrati in aumento dalla società intestata in modo fittizio a un prestanome. E si è rivelata preziosa la segnalazione, espressa dal Consiglio nazionale del notariato, che aveva rilevato, nella preparazione degli atti costitutivi, la presenza di un soggetto già noto per il coinvolgimento nelle operazioni Grimilde e Perseverance. Oltre alle sei misure cautelari, gli investigatori hanno eseguito il sequestro preventivo di una società intestata in modo fittizio a prestanome, insieme a quote e beni di circa 250mila euro a Reggio Emilia. L’indagine si è avvalsa di un’accurata analisi dei rapporti bancari, dei documenti contabili e delle intercettazioni. l