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La superstite dell’eccidio della Bettola Liliana Del Monte si è raccontata agli studenti a Sant’Ilario

Michele Stagnini*
La superstite dell’eccidio della Bettola Liliana Del Monte si è raccontata agli studenti a Sant’Ilario

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Una forte e significativa testimonianza ad un pubblico giovane. Giovedì scorso, al Piccolo Teatro in Piazza di Sant’Ilario d’Enza, davanti a 10 classi dell’istituto “D’Arzo”, ha raccontato la sua storia Liliana Del Monte, unica sopravvissuta alla strage della Bettola del 24 giugno 1944. Ormai ultranovantenne, ha condiviso con i ragazzi la sua esperienza da undicenne che si è vista entrare i soldati tedeschi in casa e fucilare tutta la famiglia. «Sono sopravvissuta perché, forse per abitudine, mi sono rannicchiata sotto le coperte. Gli spari quindi mi hanno solo ferita, e non uccisa come avrebbero dovuto».

La testimonianza ha avuto un grosso impatto emotivo, perché si è trattata di una strage di innocenti, fatta come rappresaglia. Infatti era stato fatto parzialmente saltare il giorno prima un ponte di collegamento importante per la zona, ed erano stati uccisi due soldati tedeschi. «Sono entrati in casa con i fucili e hanno ordinato di mettersi tutti al muro. Io mi sono rannicchiata tra mio nonno e mia nonna, era molto buio e probabilmente non mi hanno vista». La testimonianza è poi continuata, anche accompagnata da immagini dei luoghi, riproduzioni dell’epoca e odierne. «Mi sono svegliata con qualcuno che mi scuoteva. Era un soldato, da solo. Mi ha raccolta e messa sul ciglio della strada, dove dopo poco sono stata trovata e portata in ospedale». Questa è la parte della storia che colpisce di più un diciassettenne come me: l’idea di un soldato che, dopo anni di guerra, ha ancora l’umanità di disubbidire ad un ordine per aiutare una persona in difficoltà. «Mi sono sempre chiesta chi fosse quel soldato e se un giorno lo avrei incontrato di nuovo». Questo incontro non è mai avvenuto e l’identità del benefattore resta tutt’oggi ignota.

Dopo la storia personale, Liliana Del Monte ha raccontato meglio la situazione della Bettola e più in generale dell’Appennino reggiano di quegli anni. «Non ho mai visto un partigiano, e i soldati tedeschi non mi sembravano invasori. Erano gentili, si fermavano all’osteria davanti a casa: non si vedevano spesso uomini in divisa». E ancora: «C’era una centrale tedesca a Casina, quindi il ponte della Bettola era fondamentale per i collegamenti». Questo è il motivo dell’esplosione al ponte, organizzata da un gruppo di partigiani giovani e inesperti.

La parte più importante dell’incontro, però, come spesso accade, è stata quella finale: «Non ho mai provato rancore o voglia di vendetta per quel plotone, ritengo che l’odio sia inutile». Con queste parole lei, vittima di un’indicibile atrocità, ci ha invitati tutti a non cercare vendetta nella violenza. «Ho vissuto una vita normale, solo nel 2008 ho cominciato a testimoniare; nemmeno alcuni miei amici molto stretti erano a conoscenza di quello che mi era capitato». Liliana infatti ha sempre evitato di raccontare questo episodio. Ha cominciato a parlarne solo quando suo nipote, giornalista, le ha procurato un editore, grazie al quale ha pubblicato un libro con la sua storia, “Il nazista e la bambina”. È stata un’esperienza toccante, soprattutto nel racconto personale di Liliana. La vicenda della guerra partigiana e della Liberazione spesso mi è apparsa lontana e passata; eppure sentire dalla viva voce della signora Del Monte parole di perdono e pacificazione mi ha fatto riflettere: non ha mai messo in dubbio la sua scelta di riconciliazione, come se fosse scontata e facile, mentre, anche nel mio presente, sono circondato da esempi contrari, fatti di conflitti che sembrano insanabili. 

*Studente dell’istituto “Silvio d’Arzo” di Sant’Ilario d’Enza

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