Omicidio Saman: domani arriva la sentenza. L’accusa chiede 5 ergastoli, per la difesa dello zio c’è un vuoto legislativo
Il processo d’Appello: l’attenzione è in particolare sui cugini che in primo grado erano stati assolti
Novellara Nel processo di secondo grado per l’omicidio di Saman Abbas, che domani venerdì 18 aprile dovrebbe concludersi con la sentenza, è la volta delle difese. L’avvocato Liborio Cataliotti ha tenuto ieri la sua arringa, chiedendo che venga riconosciuto il comportamento processuale del suo assistito, lo zio Danish Hasnain. «Ha fatto trovare il corpo della ragazza, ha confessato il seppellimento e ha chiamato in reità i due cugini, quantomeno per l’occultamento del cadavere». In sostanza, ha spiegato Cataliotti, «abbiamo aiutato il processo e crediamo che questo atteggiamento meriti di essere preso in considerazione, cosa che la procura generale invece non vuole fare». L’accusa, infatti, non ha fatto distinzioni tra gli imputati e ha chiesto cinque ergastoli: per i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, per lo zio Hasnain e per i cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq. Cataliotti ha poi affrontato un aspetto squisitamente tecnico, ma di grande rilievo giuridico. La legge prevede che, se una sentenza deriva da rito abbreviato, non è appellabile dalla procura. Il caso di Danish (in foto accanto alla vittima) è particolare, perché la condanna a 14 anni è arrivata dopo un dibattimento, ma i giudici hanno riconosciuto che avrebbe dovuto e potuto praticarsi il rito abbreviato, tanto che è stato concesso lo sconto di pena (in virtù di una novità normativa introdotta dalla riforma Cartabia).
«Siamo in una zona ibrida e a mio avviso c’è un vuoto legislativo», ha detto il legale. Pertanto, Cataliotti ha chiesto alla Corte o di sollevare la questione davanti alla Corte Costituzionale o di colmare la lacuna considerando non appellabile la sentenza di primo grado e confermare dunque i 14 anni. In aula è intervenuta anche l’avvocata Mariagrazia Petrelli, che assiste il cugino di Saman, Ikram Ijaz, che in primo grado è stato assolto, così come l’altro cugino, Nomanulhaq Nomanulhaq. «Credo che in tutta questa vicenda ci siano dei pregiudizi, legati al fatto che i cugini si trovassero a vivere e lavorare nella stessa azienda agricola dove c'erano anche gli altri imputati. Una vicinanza esclusivamente fisica, perché da nessuna parte è mai emerso che il mio assistito condividesse principi e valori propri degli altri soggetti».L’avvocata Petrelli si è detta fiduciosa e convinta che «l’unica colpa dei due cugini sia quella di essere uomini poveri». A margine dell’udienza, l’avvocata ha espresso disappunto per il fatto di essere stata spesso interrotta dalla Corte. «È la prima volta che mi succede in tanti anni di professione. Comunque, ho cercato di andare avanti e di dire tutto ciò che ritenevo opportuno per la difesa del mio assistito, per il quale ricordo che è stato chiesto l’ergastolo». L’avvocato Simone Servillo, difensore della madre di Saman, ha invece chiesto l’assoluzione di Nazia Shaheen, sostenendo che, nel contesto familiare degli Abbas, in quanto donna non aveva alcun ruolo decisionale. «Sono assolutamente convinto che Nazia è innocente», ha dichiarato. Venerdì 18 aprile l’ultima udienza, con inizio ore 9.30. Toccherà agli avvocati Luigi Scarcella, che assiste Nomanulhaq, e Sheila Foti, che difende il padre di Saman. A seguire, la Corte d’Assise d’Appello si riunirà in camera di consiglio per la sentenza. © RIPRODUZIONE RISERVATA