Morto a 78 anni Alberto Franceschini con Curcio e Mara Cagol fondò le Brigate Rosse
Il decesso è avvenuto l’11 aprile ma la notizia si è diffusa soltanto ieri pomeriggio
Reggio Emilia Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate Rosse è morto l’11 aprile scorso nella casa di Milano in cui si era stabilito da qualche anno. La notizia della sua morte si è diffusa soltanto nel tardo pomeriggio di ieri. Settantatotto anni, reggiano, Franceschini era considerato, assieme a Renato Curcio e Mara Cagol, tra i fondatori delle Brigate Rosse. Dopo le condanne definitive – tra cui l’organizzazione e la partecipazione al sequestro del giudice Sossi a Genova – Franceschini si era ufficialmente dissociato dalla lotta armata e questo lo aveva di fatto allontanato dal resto del nucleo storico che faceva riferimento a Curcio. Tutti all’oscuro Per questo motivo, ieri, la notizia della sua morte – diffusa con quasi due settimane di ritardo – ha colto tutti quanti lo conoscevano, a Reggio come nel resto d’Italia. Tra queste persone che nel tardo pomeriggio di ieri sono state colte di sorpresa dalla notizia della morte di Franceschini c’è l’avvocato reggiano Vainer Burani, che ha difeso negli anni passati Prospero Gallinari e oggi è il legale di Renato Curcio.
«Ho sentito anch’io la notizia – ci dice al telefono il legale reggiano – alla televisione. No, non ne sapevo nulla e del resto, erano già diversi anni che Alberto non era in contatto con gli altri componenti del nucleo storico delle Brigate Rosse». La prova? Pochi giorni fa l’avvocato Burani era impegnato in una udienza davanti alla Corte d’assise di Alessandria in qualità di difensore di Renato Curcio, imputato assieme a Mario Moretti e all’altro brigatista reggiano Lauro Azzolini, per la morte del carabiniere Giovanni D’Alfonso, ucciso in un conflitto a fuoco in cui morirà anche la compagna di Renato Curcio, Mara Cagol. Il processo, incredibilmente ancora al primo grado, cerca di far luce su quanto avvenne il 6 giugno 1975, quando i carabinieri fecero irruzione davanti a un vecchio casale nelle campagne di Asti, in cui si presumeva fosse stato sequestrato l’imprenditore Vallarino Gancia. «Al processo difendo Curcio – dice Burani – che ha 84 anni e un solo desiderio: che la verità processuale appuri come è morta sua moglie». Poi tornando con la mente alla morte di Franceschini, aggiunge: No, credo che se Renato avesse saputo della morte di Franceschini me lo avrebbe detto. Evidentemente invece, questa è l’ennesima prova che Franceschini aveva tagliato i ponti con tutto il suo passato. Di sicuro con coloro che erano stati suoi compagni di lotta». Arrestato nel 1974, Franceschini era uscito di galera a metà degli anni 90 e dopo i primi anni trascorsi a Roma, in cui aveva iniziato alcune collaborazioni con l’Arci, si era trasferito a Milano, dove viveva in un appartamento nella zona sud della città. «Le notizie che avevo di Alberto – spiegava ieri sempre l’avvocato Burani – erano piuttosto datate. In particolare sapevo che non se la passasse benissimo e che, almeno da un paio d’anni soffrisse di una forma molto aggressiva di demenza senile».
A confermare, invero soltanto in parte, che l’ex fondatore delle Br non se la passasse benissimo erano stati gli stessi rappresentanti dell’Arci di Milano con i quali negli anni passati, Franceschini aveva collaborato, partecipando ad alcune iniziative editoriali. Le ultime notizie di cronaca che lo avevano riguardato risalgono al febbraio dello scorso anno, quando la polizia a Milano ferma e identifica alcuni partecipanti a un corteo autorizzato a favore della causa palestinese. Tra queste persone, il nome più famoso, si scoprirà soltanto qualche giorno dopo, è proprio quello di Alberto Franceschini. L’appartamento Invero, la nascita delle Brigate Rosse in Italia si snoda storicamente tra le grandi fabbriche del nord, l’Università di Trento e un appartamento di Reggio Emilia in cui, alla fine degli anni 60, iniziano a trovarsi alcuni giovani dissidenti del Pci. Tra questi Alberto Franceschini, Prospero Gallinari, Lauro Azzolini e Roberto Ognibene. Nipote di un nonno che dopo «aver combattuto tutte le guerre possibili – racconterà Franceschini in una intervistaa Radio Radicale datata 2021 – dopo il confino e dopo l’8 settembre 1943, a quasi sessant’anni torna in montagna e partecipa alla lotta partigiana». Ed è probabilmente in questa suggestione di un ideale passaggio di consegne che Franceschini aderisce alla lotta armata. Sarà lui il primo brigatista a entrare in clandestinità. È il 1971 e tre anni più tardi Franceschini organizza e partecipa al sequestro del giudice Mario Sossi, rapito a Genova il 18 aprile e rilasciato a Milano il 23 maggio. Il giudice Guido Salvini spiegherà in seguito che «fu lo stesso Franceschini a farlo liberare e che non si macchiò mai direttamente di reati di sangue».l © RIPRODUZIONE RISERVATA