I resti di Aristide Ganassi alla famiglia 80 anni dopo
Il medico fu prelevato da casa il 28 aprile 1945 e il cadavere fu sepolto al Cavòn
Campagnola Era il 28 aprile 1945 quando Aristide Ganassi, medico, capo dell’ospedale di Castelnovo Sotto, fu prelevato dai partigiani. Il suo corpo fu sepolto al Cavòn, una cava d’argilla trasformata in una fossa comune, a poche centinaia di metri dal centro di Campagnola. Esattamente dopo 80 anni, il 28 aprile 2025, cioè ieri, ai nipoti di Aristide sono stati consegnati i suoi resti, riconosciuti grazie agli ultimi accertamenti sul Dna. Quella della famiglia Ganassi è la storia di una famiglia che dopo ben otto decenni ha potuto entrare in possesso dei resti del proprio famigliare, ma rappresenta al tempo stesso la fotografia di un’epoca. E il lutto che si è perpetuato per 80 anni è una ricerca della verità, tramandata di generazione in generazione, che accomuna diverse famiglie. I resti di Aristide Ganassi sono stati identificati tra quelli delle vittime del triangolo della morte della Bassa reggiana. Persone che conobbero la propria fine nel Cavòn, cava d’argilla che si trova all’altezza del civico 19 di via Camillo Prampolini. Per raggiungere il luogo in cui venne scoperta la fossa comune occorre incamminarsi lungo una carraia che inizia dal ciglio della strada, accanto a un casolare abbandonato per giungere alla grande croce, posta dall’Associazione nazionale volontari di guerra, conficcata nel terreno, nel punto in cui vennero sepolte le vittime. Qui vennero trovati i resti di 18 persone, il 9 marzo 1991: si trattava proprio degli scomparsi tra il 28 e il 30 aprile 1945. Tra loro c’era anche Aristide Ganassi. Il dottor Ganassi, nell’aprile del 1945, era a capo dell’ospedale di Castelnovo Sotto.
«Lui curava tutti, indistintamente dal credo politico e religioso – affermano i nipoti di Aristide, Barbara Ganassi, residente a Parma e presente ieri mattina al cimitero di Campagnola con il fratello Stefano, e Marco Caseli, che abita a Roma –. Chi lo ha catturato voleva fare sparire le menti pensanti dei paesi. Quest’idea che i partigiani fossero tutti brava gente necessita senz’altro dei dovuti distinguo. Nostra nonna (Caterina Sacchi, ndr) era rimasta senza casa e senza soldi. Il fatto che il nonno fosse stato prelevato e poi ucciso ha impattato per sempre sulla famiglia che ha dovuto ricominciare stringendo i denti per farcela». I figli di Aristide e Caterina, Ferruccio (mancato nel 2020), e Paola, morta circa tre mesi fa, dovettero infatti affrontare grandi difficoltà, oltre che emotive, dal momento che di lì a poco rimasero orfani anche della madre, anche di tipo economico. Dal momento che il corpo di Aristide non era mai stato ritrovato, non poterono ricevere la pensione, né sbloccare il conto corrente in banca. Dopo il nuovo impulso delle indagini della Procura di Reggio Emilia, condotte dal pubblico ministero Maria Rita Pantani, alla fine dello scorso anno, è stato possibile identificare altri quattro fra i 18 sepolti al Cavòn. Si tratta, oltre a Ganassi, di Giovanni Caviola, Luigi Rossi e di Silvio Davoli. I militari del Ris (Reparto investigazioni scentifiche) di Parma e del nucleo operativo di Reggio hanno isolato il teschio e lo hanno affidato ai parenti. «Ha un foro nel cranio, questo fa capire che almeno non è stato sepolto vivo – afferma Barbara –. Il capitolo non si chiude qui, tuttavia. Devono essere individuati gli artefici di questi assassini che non c’entrano niente con la guerra, anche se ora non saranno più in vita. Mio nonno era un medico che curava tutti. Mio padre per tutta la vita ha aspettato questo momento». «Mia mamma Paola è mancata soli tre mesi fa senza sapere la notizia: ci eravamo ripromessi di aspettare che si riprendesse per farlo, poi purtroppo, non abbiamo fatto in tempo perché è venuta a mancare prima», aggiunge Marco Caseli. Ieri Barbara ha portato i resti del nonno al cimitero di Baiso, dove verranno riposti nella tomba di famiglia. © RIPRODUZIONE RISERVATA