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L’intervista

Scuola, a Reggio Emilia il governo taglia 36 cattedre. «Effetto del calo demografico»

Massimo Sesena
Scuola, a Reggio Emilia il governo taglia 36 cattedre. «Effetto del calo demografico»

Il provveditore agli studi Paolo Bernardi spiega le mosse dei prossimi mesi: «Negli ultimi tre anni, pianta organica invariata nonostante il calo degli iscritti»

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Reggio Emilia Nella legge di bilancio 2025, il governo Meloni taglia complessivamente 5.660 cattedre e sulle scuole della provincia di Reggio, questo taglio si tradurrà in 36 docenti in meno rispetto all’anno precedente. La Cgil scuola, attraverso la segretaria generale dell’Emilia Romagna, Monica Ottaviani ha lanciato un vero e proprio grido d’allarme: «La scuola dell’Emilia Romagna paga un prezzo molto alto e continua nel lento declino verso un impoverimento del servizio pubblico statale». Invero, se a giudicare dall’enfasi con cui la Cgil ha dato per prima la notizia dei tagli, si è portati a pensare che si sia trattato di un fulmine a ciel sereno, il provveditore agli studi della provincia di Reggio, Paolo Bernardi, sottolinea come, in realtà, i tagli erano attesi.  «In realtà – spiega Bernardi – quella che mancava era soltanto l’ufficialità di questi dati. Certo, l’ufficialità era attesa perché è sui numeri certi che si attuano le scelte, ma vi assicuro che i nostri uffici sono da settimane al lavoro per evitare contraccolpi traumatici per le famiglie e gli studenti».

Nessun fulmine a ciel sereno, quindi?
«No, anche perché, a fronte di un calo demografico che in questi anni è stato costante, il taglio di 36 unità dalla pianta organica arriva dopo alcuni anni in cui l’organico è sempre stato confermato nei numeri, anche a fronte della diminuzione delle nascite».
È normale anche che Reggio Emilia sconti il taglio più pesante dopo quello che spetta al capoluogo di regione?
«Sì, perché proprio a Reggio si è registrato il più consistente calo delle nascite. Anche in termini percentuali, se è vero che i posti in meno, per Bologna saranno alla fine 51, ma su un’area più vasta di quella di Reggio».

Di fronte a questi numeri, qual è il lavoro del suo ufficio da qui a settembre quando comincerà un altro anno scolastico?
«Tra pochi giorni si apre la partita dei trasferimenti, in cui si affronta anche il tema delle sostituzioni dei docenti che andranno in pensione. Terminata questa prima fase, tra giugno e luglio si apre quella delle nomine da concorsi che, celebrandosi in questi anni, hanno contribuito a ridurre la quota di precariato. In questo senso, sia le misure emergenziali adottate durante il periodo della pandemia, sia quelle successive che si richiamano al Piano nazionale di ripresa e resilienza, hanno contribuito a stabilizzare un certo numero di docenti».
È possibile quantificare, su Reggio, questa uscita dal precariato?
«Per quanto riguarda le stabilizzazioni di docenti precari, o per concorso, o per graduatorie permanenti o per supplenza finalizzata al ruolo (in particolare sul sostegno) fatte negli ultimi tre anni, possiamo parlare di almeno un migliaio di immissioni in ruolo». L’allarme dei sindacati è quindi, a suo dire, ingiustificato?
«Non giudico la presa di posizione della Cgil. E riconosco che nel momento in cui si verifica una contrazione, si creano problemi e nasce il malcontento. Il mio lavoro, il prezioso e incessante lavoro dei funzionari del Provveditorato è adottare tutte le misure per rendere l’impatto con queste situazioni meno traumatico possibile».

È in questo modo che è stato raggiunto, alla fine, il risultato per la classe prima delle elementari di Marmirolo?

«Sì, ma le assicuro che questa è sempre la nostra stella polare: cercare soluzioni nelle condizioni che ci vengono date. Del resto, lo sperimentiamo ogni giorno sulla nostra pelle, da cittadini, il venir meno di risorse in ambito pubblico, magari non solo nella scuola, penso alla sanità, impone a tutti di cercare soluzioni, partendo dal presupposto che il tempo in cui noi abbiamo frequentato la scuola pubblica, non tornerà più. Oggi la scuola pubblica deve muoversi su un sentiero segnato, che non può non tener conto dei numeri del calo demografico. Se a Marmirolo abbiamo assistito a un lieto fine è stato solo per il fatto che si è lavorato per raggiungere i numeri che servivano per garantire che la prima classe, a settembre, possa partire. E tuttavia, a fronte del lieto fine della Primaria di Marmirolo le posso assicurare che ci sono altre realtà, magari lontane dai riflettori, penso ad altre frazioni del comune capoluogo in cui l’assenza di altre scuole oltre a quella che magari non ha iscritti sufficienti per garantire una classe rende meno agevole la soluzione del problema. Oppure al tema delle pluriclassi in alcune zone del nostro Appennino, dove peraltro è possibile attingere a deroghe che permettono la formazione di classi anche con 10 alunni, contro i 15 necessari nei centri urbani. In determinate situazioni, alla fine è inevitabile operare delle scelte e si cerca sempre di farlo nell’interesse di tutti».

Ecco, il tema delle scelte. Se davvero siamo di fronte a una sorta di “dittatura” dei numeri, allora qual è il ruolo del Provveditorato?

«Non certo quello di chi si limita a una presa d’atto. Rispetto ai 36 posti in meno, ad esempio, una delle possibili azioni è quella, dove è possibile, di una compensazione, muovendo docenti da situazioni in cui c’è una minor necessità a situazioni in cui serve invece un apporto maggiore da parte del personale».
Lei ha accennato al tema delle pluriclassi: a Reggio esistono ancora? In quali zone?

«Parliamo prevalentemente dei piccoli centri del nostro Appennino. Complessivamente, in provincia, abbiamo una trentina di pluriclassi». Un’altra delle preoccupazioni espresse dalla Cgil scuola riguarda il fatto che i tagli possano incidere anche sul percorso scolastico degli studenti disabili. Lei si sente di tranquillizzare i sindacati ma soprattutto le famiglie? «Il numero degli alunni e studenti con disabilità in questi anni è andato aumentando e soprattutto ha finito per diventare estremamente variegato al proprio interno. Sotto la definizione generica sono cresciute e sono venuti alla luce diversi di tipi e diverse gravità di disabilità. Posso assicurare che da parte dell'ufficio del provveditore è stato fatto tutto il possibile per evitare situazioni di problematicità. Ovunque si è potuto, si è cercato, in presenza di numeri crescenti di alunni diversamente abili, di dare più risorse in organico».

Nel dibattito politico che si era aperto attorno al futuro della scuola di Marmirolo è stata sottolineata da più parti la crescente richiesta di classi a tempo pieno, rispetto alle quali, tuttavia, Reggio sconta numeri cristallizzati dal lontano 2008. Peccato che in questi anni sia cambiato il mondo...

«Vero. In particolare è cresciuta, a Reggio ma anche altrove, la richiesta delle famiglie di aver accesso a classi a tempo pieno per i loro figli. E uno dei motivi di questa crescita è il fatto che, soprattutto negli ultimi anni, le famiglie di immigrati hanno richiesto d i poter accedere a questo servizio che all’inizio era invece appannaggio delle famiglie italiane. La disponibilità di classi è ferma a dati del 2008 e in questo senso è auspicabile una nuova negoziazione che tenga conto dei tempi che sono cambiati radicalmente».

Lei parla di negoziazione, ma a che livello dovrebbe avvenire?
«Sicuramente sia a livello nazionale e sia regionale. È su questi due piani che si possono davvero cambiare le cose. Poi però, soprattutto a Reggio Emilia c’è un altro livello che, grazie alla collaborazione con gli enti locali, abbiamo già sperimentato e stiamo sperimentando con buoni risultati. Ed è quello del tempo prolungato che, grazie alle risorse che gli enti locali mettono in campo riesce a dare una risposta a tante famiglie che devono conciliare i tempi di vita e di lavoro a quelli dell’accudimento dei figli. Ma anche in questo caso, servono risorse e reperirle diventa sempre più complicato». © RIPRODUZIONE RISERVATA