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L’intervista

L’Arcivescovo di Reggio Emilia Giacomo Morandi: «Papa Provost, un uomo lontano dalla ribalta»

Ambra Prati
L’Arcivescovo di Reggio Emilia Giacomo Morandi: «Papa Provost, un uomo lontano dalla ribalta»

Ha seguito l’elezione in diretta tv dal Vescovado insieme al vicario Rossi. «Abbiamo fatto suonare subito le campane. La Chiesa ha dimostrato unità»

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Reggio Emilia «La Chiesa ha dimostrato grande unità. Dopo la fumata bianca ho fatto suonare subito le campane: è un momento importante nella vita del cattolicesimo e del mondo». L’arcivescovo di Reggio Emilia Giacomo Morandi ha accolto così la notizia dell’elezione – arrivata in tempi record – del 267esimo pontefice, Robert Francis Prevost, che ha scelto il nome di papa Leone XIV: un’elezione seguita nel suo ufficio al Vescovado nel cuore della città. Nato il 14 settembre 1955 a Chicago, Illinois, da una famiglia di origini francesi, italiane e spagnole, Prevost era stato nominato da Francesco amministratore apostolico della diocesi di Chiclayo, in Perù, elevandolo a vescovo titolare di Sufar. Nel 2019, Prevost è stato nominato membro della Congregazione per il Clero e, nel 2020, della Congregazione per i Vescovi. Il 30 gennaio 2023, è stato nominato Prefetto del Dicastero per i Vescovi e Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina. Il 30 settembre 2023, Papa Francesco lo ha creato cardinale della Diaconia di Santa Monica. Un Papa che al suo esordio già segna parecchi primati: il primo con cittadinanza statunitense (e peruviana), il primo ad aver scelto di leggere un testo scritto anziché andare a braccio, il primo a utilizzare la lingua spagnola subito dopo l’italiano.
Pare una scelta all’insegna della continuità: chi è il 69enne Prevost?
«Originario di Chicago, due lauree (teologia e filosofia) incarichi accademici, per dodici anni priore generale del suo ordine (gli Agostiniani), a lungo missionario in Perù. Nel 2014 papa Francesco lo nominato vescovo di Chiclayo, in Perù, riconoscendo la sua dedizione e il suo servizio nella regione, ultimamente alla Congregazione dei Vescovi. Un cammino diversificato, con tante esperienza pastorali in giro per il mondo. Insieme alla mitezza e dell’umiltà sono queste le caratteristiche del suo servizio. Un uomo lontano dalla ribalta».

Sua eccellenza dove ha seguito l’annuncio?
«Qui dall’episcopio, in televisione, come tutti, insieme al vicario generale Monsignor Giovanni Rossi e al personale di segreteria. Il giovedì è un giorno tranquillo, gli uffici sono chiusi nel pomeriggio. Abbiamo fatto suonare subito le campane, è un momento importante della vita della Chiesa e del mondo».
L’ha sorpresa un’elezione così celere, arrivata appena il secondo giorno di Conclave?
«Per l’elezione è richiesta la maggioranza dei due terzi (89 voti): significa che c’è stata una profonda unità nell’individuare il successore di Pietro. Questo è sicuramente un aspetto positivo».
Ci aveva visto giusto il presidente Usa Donald Trump con quel fotomontaggio che lo ritraeva vestito da pontefice?
«No, credo che non ci sia alcun collegamento, non c’entra nulla. Era una di quelle boutade alla quale Trump ci ha abituato».
Una lettura politica però è d’obbligo, visto che il pontefice ha ripetuto venti volte la parola “pace”. Un messaggio chiaro?
«C’è stato un esplicito collegamento con l’ultimo messaggio di Pasqua di papa Francesco: è importante che il suo successore lo abbia ricordato legandolo al saluto che Cristo dà agli apostoli nel giorni di Pasqua. La pace tra le nazioni e la pace che deve entrare nelle nostre case: un tema fondamentale, non solo per la Chiesa ma per il mondo intero».
È la priorità in questa congiuntura storica buia?
«Certo, è la priorità e l’urgenza assoluta sulla scena mondiale. È solo di ieri l’ultimo focolaio che si è aperto: l’attacco con missili dell’India al Pakistan, che rischia l’escalation. Sono i “pezzi di terza guerra mondiale” di cui parlava papa Francesco e sono certo che anche Leone XIV sarà promotore di un richiamo continuo alla pace».
In molti speravano in un pontefice italiano: anche lei?
«La grazia è tutto ciò che serve in questo momento, questa è la prospettiva. Qualsiasi altra considerazione, soprattutto in questo caso, deve cadere e lasciare spazio a quelle che sono le esigenze. Sono sereno. L’importante è che i cardinali siano stati guidati dalla comunione, dall’ascolto della parola di Dio e dallo Spirito Santo». Dispiace un po’ per il cardinale Matteo Maria Zuppi, vescovo di Bologna, che era tra i papabili. Poteva essere un pezzo di Emilia-Romagna sul soglio di Pietro? Qui sua eccellenza si lascia andare a una risata (ndr).
«Ricordo che dopo la nomina c’è la stanza delle lacrime: inizia il peso della responsabilità e della preoccupazione».
Ha commentato la fumata bianca con altri cardinali o con esponenti del clero che si trovavano in Vaticano?
«A dire la verità non ne ho avuto il tempo. Ho ricevuto qualche telefonata dopo l’annuncio, ma non sono riuscito a rispondere».  © RIPRODUZIONE RISERVATA