Gazzetta di Reggio

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Intervista al dg dell’Azienda Usl di Reggio Emilia

«L’emergenza è la carenza degli infermieri: questa professione, in Italia soprattutto, non è appetibile»

Massimo Sesena
«L’emergenza è la carenza degli infermieri: questa professione, in Italia soprattutto, non è appetibile»

Il dg dell’Azienda Usl Davide Fornaciari dice sì al nuovo piano per la Sanità reggiana: «L’obiettivo decongestionare il Santa Maria Nuova da tutto ciò che può essere curato sul territorio o a domicilio»

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Reggio Emilia Davide Fornaciari ha appena incassato il via libera della Conferenza territoriale socio-sanitaria al bilancio d’esercizio 2024 dell’Azienda Usl di cui è direttore generale da poco più di cento giorni. Un bilancio che – al pari delle altre aziende sanitarie della Regione – presenta un deficit di 23 milioni, che la Regione ha già deciso di ripianare con uno stanziamento da 200 milioni, finanziato con l’aumento dei ticket sanitari. «A fronte di un aumento del Fondo sanitario nazionale – spiega Fornaciari – che si è attestato attorno all’1,8%, Reggio ha registrato una crescita della spesa farmaceutica ospedaliera attorno al 10-12%. E questa è soltanto una delle voci in uscita. I rinnovi dei contratti nazionali hanno inciso anch’essi notevolmente sul bilancio».

L’impressione, vista da fuori, è che lo stanziamento deciso dalla Regione per ripianare i buchi delle aziende sanitarie non possa essere risolutivo, in quanto non strutturale. Tradotto: l’anno prossimo, si rischia di essere punto e a capo…

«Il rischio c’è, non lo nego. Soprattutto per il fatto che il trend, a livello nazionale, è quello di supportare sempre meno il servizio sanitario nazionale. Per questo occorre trovare nuove strategie per non abbassare il livello dei servizi, e magari se è possibile migliorarlo ulteriormente. E venendo a Reggio e al suo territorio, sarà importante una definizione del ruolo dell’azienda sanitaria in rapporto alle altre realtà vicine, cercando di valorizzare ognuno le proprie peculiarità, evitando sovrapposizioni e favorendo invece sinergie, con le altre aziende sanitarie e, laddove è possibile, con le università». 

In una delle ultime riunioni della Conferenza provinciale socio-sanitaria, gli amministratori reggiani hanno chiesto la stesura di un nuovo piano attuativo locale. Lei è della stessa idea?
«Sì. Anche solo per il fatto che dall’anno in cui è stato approvato l’ultimo Pal generalista, sono passati ventun anni. Era il 2004, poi nel 2019 si è varato un piano attuativo focalizzato però soltanto sulla rete ospedaliera. Quello che si andrebbe a fare ora sarebbe un piano più dedicato alla sanità territoriale, anche per dare piena esecuzione alle direttive del Dm 77 che ridisegna, appunto, tutta la sanità sul territorio».

A cominciare dal nuovo ruolo che dovranno avere i medici di medicina generale che andranno in qualche modo inquadrati nonostante non siano formalmente dipendenti delle aziende sanitarie. Rispetto a questa vertenza si definirebbe ottimista?

«Siamo al lavoro per la creazione di quelle che si chiamano aggregazioni funzionali territoriali, che prevedono il ruolo unico dei medici di base a cui viene chiesta la disponibilità in termini di ore da impegnare nelle case di comunità, che oggi in provincia sono in tutto 17 e che entro la fine del 2026 diventeranno 26. Entro l’inizio della prossima estate con le sigle sindacali dei medici di medicina generale dovrebbe essere siglato l’accordo integrativo regionale dal quale, poi, deriverebbe quello locale. Un accordo che, su Reggio, dovrà essere accompagnato anche dal lavoro di copertura di quelle zone che ancora oggi non hanno il loro medico di base».

Invero, il nuovo Pal non sarà solo questo, non è così?

«Certo, anche perché sul fronte della attuazione del Dm 77 non partiamo da zero, come dimostrano i passi avanti fatti sulla medicina territoriale. Credo che, una volta preso atto delle risorse che si hanno a disposizione, sarà importante programmare gli interventi, sia sul fronte della medicina territoriale, sia sulla necessità di alleggerire i pronto soccorsi degli ospedali, per finire con l’obiettivo di decongestionare il Santa Maria Nuova da tutto ciò che può essere curato sul territorio o a domicilio».

Lei ha citato il Santa Maria Nuova e a Reggio si ha l’impressione che in questi anni abbia perduto smalto. La battuta che circola è: dovevamo avere un grande ospedale, ci ritroviamo un ospedale grande...
«È una visione che non condivido. Riconosco il ruolo che il Santa Maria Nuova ha nella sanità locale e soprattutto sono orgoglioso dei risultati ottenuti in questi anni. Penso soltanto alla capacità dell’Irccs di attrarre finanziamenti da privati: soltanto nell’ultimo anno la nostra ricerca è stata in grado di attrarre finanziamenti per 11 milioni di euro. Poi vorrei aggiungere una cosa...».

Prego...

«Da quando sono all’Ausl di Reggio ho sempre visto crescere il Santa Maria Nuova sul fronte delle professionalità ma anche sotto il profilo della dotazione tecnologica, grazie alla quale il nostro ospedale di riferimento ha retto il confronto con realtà più grandi e strutturate. Ecco io vorrei che il Santa Maria Nuova si connotasse sempre di più l’innovazione tecnologica su cui abbiamo investito tanto e vorremmo continuare su questa strada anche se non è mai facile reperire le risorse finanziarie. Entro quest’anno il Santa Maria Nuova si doterà del robot chirurgico, considerato oggi fondamentale in alcune specialità in cui azzera l’errore. Ed è solo uno degli esempi di investimenti che sono possibili anche grazie alle tante onlus che raccolgono fondi per strumentazioni di ultima generazione come la risonanza magnetica a 3 tesla di cui ci doteremo grazie al contributo del Grade. In tutto abbiamo in campo 21 milioni di investimenti in tecnologie».

A proposito di investimenti, toccherà a lei tagliare il nastro del più grande investimento degli ultimi anni, ovvero il Mire, l’ospedale della donna e del bambino. Settanta milioni per un’opera che oggi, di fronte al calo delle nascite sembra anacronistico. Non crede?

«Non è in discussione il dato demografico, ma non lo è nemmeno la nascita di una struttura che ha come obiettivo la cura e la sicurezza del più naturale degli eventi come le nascite. Se è vero che la natalità è in calo, è altrettanto inconfutabile che le gravidanze hanno avuto un aumento delle complessità, a cui soltanto una struttura con tutte le dotazioni tecnologiche più avanzate può dare risposte adeguate».

Il Mire nasce comunque privo di alcune specialità come la chirurgia e la cardiologia pediatrica. Significa che non può aspirare a essere un centro di riferimento regionale?

«Una struttura così c’è anche a Parma, ma quello che conta più di ogni altra cosa è che Reggio si possa finalmente dotare di una struttura all’avanguardia con tutte le dotazioni tecnologiche che servono a maternità e infanzia».

Una vera e propria emergenza, per la verità non solo reggiana è quella della carenza degli infermieri. È davvero così drammatica la situazione?

«Lo confermo. Al punto che la prima cosa che ho fatto quando mi sono insediato, è stato chiedere l’assunzione di 40 infermieri. Al momento di questi ne abbiamo assunti una dozzina. Il problema è che questa professione, in Italia soprattutto, non è appetibile. Per lo stipendio, per il costo della vita che oggettivamente si è alzato e per il fatto che, a differenza di quanto avveniva anni fa, dalle regioni del Sud non arrivano più gli infermieri. E questo da quando le aziende sanitarie del meridione hanno ripreso ad assumere».
A questa situazione come si può rispondere?
«È difficile dire quale possa essere la strada da seguire. Servono nuovi modelli organizzativi, e serve una sorta di welfare che porti ad attirare le professionalità che adesso non arrivano. Per questo stiamo ad esempio cercando soluzioni abitative con l’Acer e stiamo guardando con interesse a un progetto dell’Asl di Varese che punta ad attrarre in Lombardia. Si tratta di distribuire alcune competenze che oggi sono esclusive degli infermieri ad altre figure professionali. Penso soprattutto alle incombenze più burocratiche».

Allarme sicurezza L’attualità ci consegna un allarme furti al Santa Maria Nuova...

«Lungi da me qualsiasi intenzione di banalizzare o sminuire il fenomeno dei furti all’interno del Santa Maria, ma credo che sarebbe sbagliato enfatizzare questa emergenza, senza collocarla nel contesto del mondo in cui viviamo: l’ospedale non è un’isola rispetto al resto del territorio. E i borseggi dentro a questa struttura ci sono sempre stati».

Significa che ci si arrende?
«Nient’affatto. E la prova che non ci arrendiamo sta nel fatto che oggi abbiamo implementato la presenza della vigilanza all’interno dell’ospedale. Tenga conto che parliamo di una superficie calpestabile al proprio interno pari a 170mila metri quadrati che diventano 250mila se aggiungiamo il perimetro esterno. E presidiare una superficie di queste dimensioni non è così semplice. Non per questo alziamo bandiera bianca, nè tantomeno che in questi anni non abbiamo investito sulla security: abbiamo attiva 24 ore su 24 una Centrale allarmi, all’interno e all’esterno dell’ospedale sono funzionanti 500 telecamere di videosorveglianza , che peraltro funzionano se è vero che uno degli ultimi ladri è stato preso proprio grazie all’analisi dei video. Senza dimenticare il presidio di vigilanza e il posto di polizia».

Quell’area del pronto soccorso in cui si verificano molte delle aggressioni al personale sanitario che i sindacati denunciano quasi a cadenza quotidiana...
«Infatti, questa sul fronte della sicurezza è diventata una vera emergenza. Il problema che anche in questo caso non è soltanto una prerogativa reggiana è stato da noi denunciato a più riprese, io stesso ho chiesto aiuto alle forze dell’ordine per gestire un fenomeno in preoccupante crescita come è quello delle aggressioni al personale sanitario».
L’impressione è che servirebbero più uomini a presidiare l’ospedale. Lei che ne pensa?
«La mia formazione è quella di chi deve far quadrare i conti. E la tentazione di schierarmi tra coloro che chiedono di più la tengo a bada. In che modo? Facendo due conti. E i due conti mi dicono che una guardia giurata in più oggi, mi costerebbe come tre operatori sanitari messi insieme».
In quel caso, lei guarda al bilancio dell’Ausl, non è vero?
«Non posso esimermi dal farlo. Se penso che in questi giorni la sanità reggiana è nel mirino per due questioni: la questione della sicurezza e quella del deficit di bilancio, si può intuire facilmente la delicatezza del momento e la necessità di fare il meglio possibile con le risorse a disposizione».
Questo per quanto riguarda la Security, il cui incremento andrebbe a incidere sul bilancio Ausl. Ma se spostiamo il discorso sul posto fisso di polizia, il discorso potrebbe cambiare, non crede?
«Sicuramente per il fatto che il presidio della polizia si trova fisicamente nell’area del pronto soccorso, una presenza più costante e prolungata nell’arco della giornata potrebbe costituire un aiuto concreto, un deterrente rispetto agli episodi di violenze e minacce al personale sanitario. Ma si tratta di scelte che non dipendono dall’azienda Usl». © RIPRODUZIONE RISERVATA