Gazzetta di Reggio

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Primavera sul Grande fiume

Alla scoperta dei casotti del Po: rifugi, storie e silenzi sulla riva reggiana

Mauro Pinotti
Alla scoperta dei casotti del Po: rifugi, storie e silenzi sulla riva reggiana

Sono piccoli capanni o costruzioni situate lungo le sponde del fiume Po, spesso utilizzati per la pesca, il riparo o la caccia: sentinelle del fiume che attraversano i tempi

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Guastalla I “casotti del Po” sono piccoli capanni o costruzioni situate lungo le sponde del fiume Po, spesso utilizzati per la pesca, il riparo o la caccia. Si tratta di rifugi fluviali che hanno una forte valenza culturale e storica per le comunità locali che hanno la loro storia legata al fiume. Più specificamente, i casotti possono essere costruzioni semplici, spesso fatte di legno, usate per il riparo durante la pesca o la caccia, ma anche baite galleggianti, ovvero piccole case su barche che consentono di vivere o soggiornare sul fiume. Infine, si configurano anche come rifugi su palafitte costruite su pali, per resistere alle inondazioni e alle variazioni del livello del fiume, oltre che come guarderie, cioè casette situate lungo gli argini, utilizzate per sorvegliare il fiume. Questi casotti sono parte integrante del paesaggio fluviale e testimoniano la stretta relazione tra le popolazioni e il fiume. Sabbia e cielo, nebbie e nevicate, i colori “regalati” alla vegetazione dalle varie stagioni, scorci poco noti, se non sconosciuti, e il calore di rifugi che profumano di buona cucina e di storie condivise: sono questi gli elementi che definiscono l’anima della riva destra reggiano-mantovana del Grande Fiume, da Brescello a Riva di Suzzara. Qui, il tempo sembra scorrere al ritmo lento e maestoso del Po, plasmando un paesaggio unico e un’umanità indissolubilmente legata alle sue acque. Gli amanti di questo angolo di mondo vivono la natura in simbiosi con vecchi barconi, case galleggianti e strutture che sfidano le piene, erette su alte palafitte. Curate baracche diventano rifugi dove coltivare la passione per la pesca e il senso più autentico del tempo libero.

Sentinelle del fiume

Simboli di questa identità fluviale sono i casotti che punteggiano la riva con le loro sagome inconfondibili. Come sentinelle silenziose, impreziosite da fiori, piante rampicanti, attrezzi da pesca e vivaci dipinti naif, queste costruzioni sono molto più che semplici ripari. Un tempo rifugi per pescatori e barcaioli, oggi incarnano l’essenza di una socialità genuina, un invito a immergersi nelle atmosfere uniche del paesaggio padano. «Sono molto attratto dal silenzio della natura dalle folate di vento che dà un senso di pace e a volte di solitudine» confida un pescatore locale, con lo sguardo perso tra le increspature del fiume, mentre il sole inizia a tingere d’oro l'orizzonte.  «Ma il Po è anche incontro, condivisione. Pescatori e amici riuniti: questo è lo spettacolo più bello che si possa ammirare qui».

Gli uomini del Po

Il Grande Fiume non è solo un elemento geografico, ma un vero e proprio protagonista che ha plasmato, nel corso dei millenni, la pianura e gli uomini che la abitano. Una stirpe forgiata dalla forza e dalla dolcezza del fiume, che da esso ha tratto sostentamento per il corpo e nutrimento per lo spirito. «Gli uomini del Po vivevano il Grande Fiume come i personaggi di una favola» – racconta un anziano del luogo, con la voce che tradisce un’emozione antica. «Ogni accadimento, anche il più semplice, si trasformava in storia, metafora, emozione». Un tempo il fiume era solcato da reti, barche di pescatori, cacciatori, lavoratori di ogni sorta, e anche figure meno raccomandabili. Vite diverse, ma tutte accomunate da un legame indissolubile con l’acqua, fonte di ispirazione e di forza. Poi, a partire dagli anni '60, l’avvento dell’agricoltura intensiva e della meccanizzazione ha progressivamente allontanato l’uomo dal fiume. Un periodo di abbandono, testimoniato dalle barche affondate, dai casotti diroccati e dalla vegetazione incolta che ha invaso le rive. Un legame che rinasce Ma come un fiume che scorre sotterraneo, la passione per il Po non si è mai spenta. Da qualche anno, casotti, bilancioni e barconi stanno tornando a vivere, e con essi rinasce anche la frequentazione del Grande Fiume. Certo, ci sono anche i lidi, con la loro musica e la loro vivacità. Ma è nei boschi, tra le baracche e le barche, che si ritrova l’anima più autentica del Po. Qui, uomini e donne si incontrano per condividere il piacere della pesca, il racconto di una storia, un bicchiere di vino e un pezzo di salame. Per nutrire gli occhi dei colori infuocati dell’estate, della malinconia ovattata delle nebbie autunnali, del bianco abbagliante della brina invernale, e delle promesse di rinascita che porta la primavera. C’è chi ha fatto di un grande barcone una sorta di arca dove si gioca a carte, si sta in compagnia. «Quando incontri gli uomini del Po – confida un giovane pescatore – il loro parlare è un racconto meraviglioso di tutto ciò che riescono a vedere e a sentire. E ti rendi conto che questo fiume è molto più di un corso d'acqua: è un’anima, un modo di vivere, un patrimonio da proteggere». Perché il Po di oggi, preservato dall'inquinamento e dalla cementificazione selvaggia, continua a essere un luogo scolpito dal lavoro e dalla natura, testimonianza di un equilibrio possibile tra uomo e ambiente. Un luogo che l'Europa ha riconosciuto e celebrato, e che continua a offrire a chi lo vive la possibilità di sentirsi parte di qualcosa di più grande, di riscoprire un ritmo di vita più autentico, di sentirsi, semplicemente, un po' più vivi.