Irene Montruccoli, morta a 21 anni per un malore: sotto accusa tre dottoresse
La giovane, alla quale venne trovato un idrocefalo (liquido in eccesso che comprime il cervello) era stata dimessa per due volte dal Pronto soccorso del Santa Maria Nuova
Scandiano Sta arrivando al dunque il procedimento in fase di udienza preliminare sulla morte di Irene Montruccoli, studentessa universitaria modello stroncata da un malore a 21 anni (pochi giorni prima di compierne 22) dopo essere stata dimessa per due volte dal Pronto soccorso dell’ospedale di Reggio Emilia.
I familiari, tutelati dall’avvocato Noris Bucchi, hanno siglato un accordo di risarcimento coperto dal vincolo di riservatezza con l’Ausl, rinunciando a costituirsi parte civile. Indagate - ma non ancora rinviate a giudizio - tre dottoresse (due del pronto soccorso e la radiologa che eseguì la Tac), tutte accusate di omicidio colposo per imperizia e negligenza medica. Un decesso che commosse la comunità di Arceto e l’intera città: Irene Montruccoli, oltre a studiare ingegneria all’Università di Modena e Reggio (che l’ha ricordata con una laurea in memoria), era una sportiva appassionata di motocross, campionessa di karate con la Sho-Gun, impegnata nelle attività parrocchiali.
Secondo la ricostruzione dell’accaduto, da una settimana Irene accusava un forte mal di testa. Il 17 maggio 2022 il primo accesso al Pronto soccorso del Santa Maria Nuova, dove viene dimessa con la diagnosi di cefalea mestruale. Ma il dolore persiste e Irene torna al Pronto Soccorso due giorni dopo, il 19 maggio: viene eseguita una Tac che evidenzia un idrocefalo (cioè la presenza eccessiva di liquido che comprime il cervello), ma anziché indagare i motivi di quella che può essere una spia grave la paziente viene di nuovo dimessa. Il 20 maggio avviene il terzo e fatale malore in casa: trasportata d’urgenza in elicottero all’ospedale Maggiore di Parma, Irene cade in coma, spira dopo due giorni e i suoi organi vengono donati consentendo di salvare altre vite.
Secondo l’accusa (il titolare del fascicolo, in origine, era il pm Giacomo Forte) la giovane poteva essere salvata. Perciò sono state indagate le due dottoresse del Pronto Soccorso che firmarono le dimissioni, una 53enne di Albinea (difesa dall’avvocato Stefano Molinari di Parma) e una 34enne di Modena (difesa dagli avvocati Cosimo Zaccaria e Maria Vittoria Prati di Modena) e la radiologa reggiana di 44 anni che eseguì la Tac (avvocato Giovanni Tarquini). Ieri, davanti al gup Silvia Guareschi, le strade dei tre camici bianchi si sono divise: la dottoressa 34enne della seconda visita al Pronto Soccorso ha scelto il rito abbreviato e la sua posizione sarà definita in luglio.
«Esprimiamo massimo rispetto e vicinanza alla povera Irene e alla sua famiglia: il fatto è certamente toccante dal punto di vista umano - ha detto l’avvocato Zaccaria - Per quanto riguarda la nostra assistita, ha fatto tutto il possibile per salvare la giovane: è stata la dottoressa a voler approfondire, con specifici esami, un quadro clinico complesso. Confidiamo nella giustizia». Delle altre due, la radiologa ha chiesto e ottenuto di essere interrogata, sempre in luglio, «per spiegare le sue ragioni e la correttezza del suo operato», ha detto Tarquini. Secondo l’accusa la Tac avrebbe dovuto vedere la causa dell’idrocefalo (una cisti), mentre secondo la difesa quella cisti si sarebbe potuta accertare solo a seguito di una risonanza magnetica che avrebbe dovuto essere prescritta dal medico dell’emergenza-urgenza, che invece mandò la paziente a casa. © RIPRODUZIONE RISERVATA