Profuga siriana tenuta prigioniera e violentata: 31enne condannato a 16 anni. Il pm ne aveva chiesti 30
La giovane era in fuga con la famiglia dalla guerra in Siria. Venne seviziata in un casolare di Guastalla e liberata solo dopo il pagamento di un riscatto
Guastalla È stato condannato a 16 anni – a fronte di una richiesta dell’accusa di 30 anni – Muhammad Waqar, pachistano 31enne incensurato, condannato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, lesioni personali e violenza sessuale, ma assolto per il sequestro di persona a scopo di estorsione. La vicenda è quella della profuga siriana tenuta prigioniera e violentata in un casolare di Guastalla, poi liberata – dopo il pagamento di un riscatto – in una stazione di servizio di Lodi il 30 maggio 2023.
Il pm Giulia Galfano ha chiesto il massimo della pena per tutti i reati, partendo da quello più grave, il sequestro ai fini estorsivi, che faceva partire il calcolo da una base di 25 anni; invece l’assoluzione proprio per questo reato principale, il non riconoscimento della continuazione, le attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle molteplici aggravanti hanno fatto dimezzare la pena emessa ieri pomeriggio dalla Corte d’Assise, la giuria popolare presieduta dal giudice Cristina Beretti (a latere Giovanni Ghini).
Il caso
Tutto inizia quando una famiglia siriana di otto persone (nonna, genitori, fratello, sorelle) in fuga dalla guerra si rifugia in Turchia; il terremoto del febbraio 2023 li costringe ad affidarsi a trafficanti di esseri umani senza scrupoli per dirigersi in Germania. Qualcosa va storto nel pagamento del viaggio e, varcato il confine italiano, la famiglia viene divisa: il padre e il fratello vengono abbandonati in una piazzola dell’autostrada di Udine, mentre le donne su un’altra auto vengono portate nel Reggiano, dove la 17enne viene trasferita da sola in un casolare di via Madonnina a San Rocco di Guastalla, teatro dell’incubo. Lì Waqar la picchia, la spoglia e si denuda, minacciando: «Prendo te, tua mamma o tua sorella?». In realtà la ragazza viene tenuta in ostaggio per ottenere un riscatto: quei 7.500 euro (la somma pattuita per il viaggio) che il padre paga, ottenendo la liberazione. Padre e figlia sono venuti a Reggio apposta dalla Germania, riconoscendo l’autista-aguzzino dopo un racconto drammatico. «Non può che dirsi provata la responsabilità dell’imputato per tutti i reati contestati – ha detto nella requisitoria il pm Giulia Galfano –. L’imputato non solo non ha dato una versione alternativa, ma le sue dichiarazioni spontanee sono risultate irrilevanti, poco credibili e a tratti farneticanti. L’imputato si è limitato a negare, eppure ha dimostrato freddezza rispetto alle sofferenze altrui e non si è mai pentito».
È vero, ha proseguito il pm, che «non è stata acquisita la prova dello sblocco del denaro in Turchia, ma il riscatto è stato pagato». Inoltre il 31enne è stato incastrato dalla prova principe: «Il suo Dna sulle mutande della ragazza». I fatti gravissimi «sono stati commessi in un unico contesto temporale e sono legati dalla finalità ultima del profitto illecito»: da qui la proposta di una condanna a 30 anni senza le attenuanti. «Non condivido nulla di quanto sostiene l’accusa e chiedo l’assoluzione per tutti i capi», ha replicato l’avvocato difensore di fiducia Elisa Baldaccini del foro di Modena (dov’è detenuto Waqar), che ha instillato dubbi sul Dna («non è stato trovato sperma»), sul riscatto («non è lui che lo pretende, non è lui che lo intasca») e soprattutto sul ruolo dell’imputato, definito «un pedina sacrificabile, agli ordini di un intermediario delle organizzazioni internazionali dei trafficanti perché, a sua volta, doveva estinguere il debito contratto per venire in Italia: una forma di schiavismo». Soprattutto il difensore ha puntato sulla riqualificazione del sequestro di persona a scopo di estorsione: «Un reato introdotto nella stagione dei sequestri mafiosi, quando le persone venivano private della libertà anche per anni in cambio di riscatti milionari: non è questo il caso». © RIPRODUZIONE RISERVATA