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L’analisi

Referendum, anche Reggio Emilia senza quorum ma è terza in Italia per affluenza. Sesena (Cgil): «Sulla campagna referendaria una censura degna di dittature sudamericane»

Massimo Sesena
Referendum, anche Reggio Emilia senza quorum ma è terza in Italia per affluenza. Sesena (Cgil): «Sulla campagna referendaria una censura degna di dittature sudamericane»

In città affluenza al 42%, è terza dopo Bologna e Firenze

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Reggio Emilia Nella vita e, a maggior ragione, nella politica, a complicare le cose sono spesso le aspettative. Nel senso che, se sono troppo alte, poi la realtà rischia di essere dolorosa. La premessa serve soprattutto per inquadrare e spiegare il dato di Reggio Emilia che, in una giornata senza quorum ovunque, alla fine con il 42% conquista il terzo gradino del podio a livello nazionale dopo Firenze (46%) e Bologna (44%). Invero, a urne chiuse e conti fatti, a Reggio l’amarezza – pur comprensibile – lascia, deve lasciare a tutti i costi il posto a chi vede il bicchiere mezzo pieno. E la cosa che lascia ben sperare è il fatto che, come spesso accade dopo una sconfitta, nessuno ha voglia di una ulteriore resa dei conti. Questo, almeno a giudicare dalle reazioni post-voto di Cgil e Pd, le due principali gambe del tavolo su cui si era apparecchiato per i cinque referendum, quattro dei quali sul tema del lavoro e uno sul tema, altrettanto caro alla sinistra progressista, dei diritti di cittadinanza.

Il peso della censura Impossibile, tuttavia , ignorare il fatto che l’obiettivo, quello del quorum, non sia stato raggiunto. Un dato, quello numerico, che secondo il segretario provinciale della Camera del Lavoro, Cristian Sesena ha una spiegazione nella «censura degna delle peggiori dittature sudamericane che il governo ha messo in atto sui temi referendari, arrivando a dare anche pessimi esempi di cultura democratica da parte di chi ricopre cariche istituzionali. Sicuramente è mancata la giusta informazione e il risultato comunque importante lo si deve solo ed esclusivamente all’impegno straordinario dei volontari che in queste settimane hanno cercato di portare le persone a ragionare su temi così importanti della vita di tutti i giorni, come il lavoro e i diritti di cittadinanza».

Invero, Sesena ammette che, per Reggio sperava in un risultato ancora migliore di quello che comunque colloca la Città del Tricolore tra le prime tre per affluenza. «Sapevo – dice il numero uno della Cgil reggiana – che a livello nazionale sarebbe stato quasi impossibile, ma su Reggio ci speravo, non lo nego. E lo dico pensando alla grande mobilitazione dei volontari, alle centinaia di iniziative pubbliche in cui abbiamo cercato di ovviare all’operazione di regime che voleva far calare il silenzio sui quesiti referendari e che negli ultimi giorni ha fatto di tutto perché la gente non andasse a votare». Proprio per questo, il segretario della Camera del Lavoro di Reggio non ha difficoltà a promuovere tutti i componenti del comitato referendario: «Davvero – dice – tutti hanno fatto la loro parte e i 12 punti percentuali che Reggio ha rispetto alla media nazionale sono lì a dimostrarlo. La Cgil reggiana nel suo insieme, poi, si è cimentata in un lavoro che non era il suo e anche solo per questo possiamo essere soddisfatti. Quasi 15 milioni di persone hanno capito l’importanza di uno strumento come il referendum per cercare di cambiare quello che non va nelle politiche sul lavoro e per provare a cambiare delle leggi sulla cittadinanza che oggi collocano l’Italia molto dietro altri paesi europei. Ora c’è una piattaforma su cui continuare a lavorare».

Gazza e l’agenda del Pd

Insieme al Pd? Perché no? Sesena da questo punto di vista ha le idee chiare e indirettamente manda un messaggio in bottiglia a quella componente del Pd che – dopo il voto della direzione nazionale del partito – doveva fare i conti con le scelte del passato, in particolare quelle sul Job’s Act. «Aver posto la questione del lavoro come elemento fondamentale della vita dei cittadini – spiega – è anche servito a dare un colpo finale all’elaborazione del lutto per la fine del renzismo». Anche se non usa gli stessi termini, pare essere su questa lunghezza d’onda anche il segretario del Pd reggiano, Massimo Gazza che non a caso, si dissocia dalla deputata Dem Pina Picierno, secondo cui il risultato dei referendum sarebbe un regalo alla Meloni.

«Non la penso assolutamente così – dice il segretario provinciale del Partito democratico – nessun regalo alla Meloni. Il messaggio che voglio raccogliere dall’esito di questa consultazione è che ci sono 15 milioni di persone che ci stanno dicendo che per loro le condizioni di lavoro sono fondamentali, vanno difese e migliorate, magari partendo anche dal salario che pure era un tema che non era nei quesiti». E se non c’è nessuna vittoria da festeggiare, Gazza sottolinea come quella dei referendum per i quali non si è raggiunto il quorum costituisce un importantissimo punto di partenza. «Quello che ci hanno detto coloro che si sono recati alle urne è che dobbiamo occuparci di questi temi che sono centrali per la vita di ognuno di noi». E a chi paventa il rischio di nuove divisioni nel Pd, il segretario risponde allontanando questo rischio: «A Reggio – dice Gazza – proprio l’adesione al referendum dice che la strada delle politiche del lavoro è quella giusta. Il partito è maturo, anche per prendere atto che rispetto ad anni fa è cambiato il mondo, la precarietà è cresciuta e i salari non sono degni del nostro Paese. Sono convinto che non abbiamo alternative: dobbiamo prendere atto che si deve cambiare rotta. Questo ci ha chiesto chi è andato a votare domenica e ieri e da questo dobbiamo ripartire».

Massari e l’astensione
E chi a votare non c’è andato? A loro pensa il sindaco di Reggio Marco Massari che con un post su Facebook: «Sapere – dice il primo cittadino di Reggio – che due terzi degli italiani ha scelto di non recarsi alle urne per esprimere la propria opinione su lavoro e cittadinanza lascia l’amaro in bocca perché il voto popolare resta il fondamento del nostro agire democratico e, a prescindere da come la si pensi sui temi oggetto di consultazione, a perdere non sono alcune forze politiche ma la democrazia nella sua interezza. In questo contesto occorre interrogarsi su quanto non votare sia disinteresse e quanto scelta consapevole. Di sicuro non smetteremo di batterci per i diritti delle persone, per un lavoro sicuro e dignitosamente remunerato, e continueremo a sostenere con forza il diritto alla cittadinanza italiana per milioni di persone che da anni vivono, studiano e lavorano nel nostro paese». © RIPRODUZIONE RISERVATA