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Il caso

Espone la bandiera palestinese alla finestra: il condominio gliela fa togliere

Jacopo Della Porta
Espone la bandiera palestinese alla finestra: il condominio gliela fa togliere

Reggio Emilia: è successo al professor Marco Cosentina. Che rimarca: «Per anni ho esposto la bandiera della pace, senza che provocasse reazioni»

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Reggio Emilia «Esporre una bandiera palestinese, per segnalare il proprio dissenso rispetto al massacro che sta avvenendo a Gaza, è un gesto che può dare fastidio e turbare l’ordine, la quiete e il decoro». Marco Cosentina, professore di storia e filosofia al liceo Spallanzani-Ariosto di Reggio Emilia, è amareggiato. Ha appena ricevuto una raccomandata dall’amministratore del condominio in cui si trova la sua villetta, in zona Belvedere.

«Sono ad informarla di essere stato contattato da alcuni condomini in attinenza alla bandiera apposta nella parte verso il giardino comune – si legge nella comunicazione –. L’esposizione di tale bandiera viola l’articolo 6, comma E, del regolamento condominiale, per cui è necessario rimuoverla». La contestazione fa riferimento a un passaggio del regolamento che vieta di esporre “biancheria o altro” dalle finestre o sulle facciate. «Ma non capisco perché questo gesto debba diventare divisivo – osserva Cosentina –. Per anni ho esposto la bandiera della pace, senza che questo provocasse reazioni». Nessun condomino si è rivolto direttamente a lui. Anche questo, dice, lascia l’amaro in bocca. «Nessuno ha parlato con me. Si agisce senza confronto, in base a norme astratte. Sono modi che non condivido». Il docente ha contattato telefonicamente l’amministratore per avere chiarimenti: «Ha fatto riferimento al regolamento condominiale. Ma mi pare un’interpretazione piuttosto pretestuosa». Cosentina sottolinea la portata simbolica di quanto accaduto. «Oggi un simbolo di solidarietà verso una popolazione colpita da una crisi umanitaria viene rimosso in nome della quiete e dell’omologazione. È un segnale che mi turba, anche come educatore. A scuola ho provato ad aprire un dibattito, anche esponendo un lenzuolo bianco all’esterno dell’edificio». Alla fine, il professore ha accettato di rimuovere la bandiera, rimasta esposta per una ventina di giorni, non senza dispiacere. «Come cittadini non possiamo fare grandi azioni, ma possiamo compiere piccoli gesti che segnano una discontinuità. Anche solo una bandiera può farlo. Eppure pare che anche questo sia considerato troppo».

La lettera

Pubblichiamo di seguito una riflessione del professor Cosentina.

Da molti anni vivo a Reggio Emilia, città civile, democratica e di tradizione partigiana. Oggi con una raccomandata mi è stato ingiunto da parte dell’amministratore condominiale di rimuovere la bandiera della Palestina, apposta al davanzale della mia finestra, che affaccia sul giardino comune, già da alcune settimane.  Nella comunicazione, si fa riferimento all’articolo 6 comma E del regolamento, allegato. Nessuno dei condomini mi aveva mai contattato. Dopo una telefonata concitata con l’amministratore mi sono dovuto adeguare alla richiesta.

Il Disumano non è agire per produrre il proprio interesse attraverso la sofferenza altrui: quello lo definirei Dominio. Il Disumano è non voler vedere oltre le nebbie confortevoli delle proprie convinzioni omologate. Non saper scorgere alcun orizzonte di senso differente, oltre quella patina perbenista e rassicurante che è il comune sentire. Non saper mai sfidare con passioni vitali l'ordine simbolico che nutre un mesto immaginario. Divenendo così permanentemente servi e complici di ogni Dominio.

Fino alla tremenda azione criminale del 7 ottobre, era forse ancora possibile riferirsi al conflitto decennale tra Israele ed i palestinesi, come ad una questione, così come titolava un imprescindibile saggio di Edward Said. Ciò consentiva di impostare un approccio che escludeva un’esegesi pregiudiziale, ma basava le analisi a partire da un meccanismo che nella conoscenza della Storia vedeva la matrice di una complessità tutta da dipanare. Senza tuttavia che ciò precludesse una netta evidenza su quale fosse la ragione e quali i torti, esplicitati proprio alla luce dei fatti e della loro interpretazione “ di parte “: schierata quindi dalla parte degli oppressi, con il supporto delle categorie epistemiche della ricerca.

Questione quindi da integrare nel lungo periodo della espansione imperialista del cosiddetto Occidente, per la cui legittimazione, spiegherà Said, occorrerà costruire un immaginario che ne rappresenti il suo lato oscuro, l’Oriente, spazio antropico definito da un magma promiscuo di temperie pulsionali e premoderne, da disciplinare a quelle vocazioni razionalizzanti e civilizzatrici del cosiddetto “fardello dell’uomo bianco “.

Difatti dal 7 Ottobre le dinamiche sono confluite in una narrazione manichea in cui la barbarie attaccava gli avamposti del mondo civile, facendo emergere quelle stesse pulsioni nichiliste che nell’esplosione della violenza riportavano il paradigma del subumano come elemento di legittimazione dell’occupazione. Tale impostazione riusciva facilmente a divenire senso comune e come tale a permettere di iniziare una prassi di sterminio che ad oggi ha provocato decine di migliaia di morti, in maggioranza civili, tra cui moltissimi bambini. In questa trappola escatologica non sono caduti solo alcuni settori delle società globali, per lo più studenti universitari e movimenti pacifisti, repressi in nome di un secondo paradigma di legittimazione: la strumentalizzazione dell’antisemitismo, in chiave censoria e persecutoria. Ma ci sono cascati anche alcuni settori stessi dell’informazione. Così il primo genocidio in diretta social viene gestito senza interferenze, fino a quando, recentemente il meccanismo ha iniziato ad incepparsi. Voci isolate avevano lanciato il monito: Gaza è la voragine buia che rischia di trascinare definitivamente il mondo nel baratro del disumano; così come l’abisso nero di Auschwitz era stato il monito ineludibile per un esercizio stabile e necessitato dell’umano.

Scriveva Simon Weil: “ Gli ebrei vedevano nella sventura il segno del peccato e di conseguenza un legittimo motivo di disprezzo; consideravano i loro nemici vinti come se fossero in orrore a Dio stesso e condannati ad espiare dei crimini, cosa che rendeva lecita e persino indispensabile la crudeltà”. Edificare uno Stato significa sempre basarlo su un racconto immaginario, nutrito dal mito del sangue collettivo che permea lo schema nazionale, l’appartenenza ad una comunità originaria che esclude l’estraneo o lo estirpa. Non è un’eccezione la guerra, ma il suo tratto costitutivo. A maggior ragione per Israele, la nazione che sulla Shoa costruisce il proprio monumento giuridico fondativo, fino a proclamarsi Stato degli Ebrei.

Noi dove eravamo quando tutto ciò è accaduto?  Questa domanda inizia a percuotere oggi le coscienze a lungo indifferenti, ponendole al supposto sguardo inquisitorio delle future generazioni.

Ma sbagliano coloro che nello sfaldarsi della propaganda genocidaria credono di salvarsi ponendo questo tardivo dilemma.

Dov’era la scuola, unico collettore rimasto a veicolare lo spazio dei corpi e delle relazioni tra adulti e giovani, quando dimenticava di confrontarsi sul reale, lasciando che i saperi germinassero nel dibattito vivo?

Dove erano i figli quando anziché chiedere pensavano a come continuare a stordire le proprie angosce, con un divertimentificio sempre più degradante?

Dov’erano le madri preoccupate del benessere fatuo dei propri pargoli?

Dove erano i padri mentre cercavano di proporre loro una complicità infeconda?

Dove erano le istituzioni, cassa di risonanza della più volgare e complice versione del mattatoio?

Dove erano gli intellettuali, distratti nei loro luoghi protetti a celebrare un culto letterario onanistico?

Dove era la filosofia avvinta nei discorsi sul limite, la morte, la tecnica o la significazione del mondo, ma incapace di gettare uno sguardo nell’osceno di quei corpi incendiati?

Dove erano gli sportivi, corpi del collettivo, incapaci di creare uno scarto: quel gesto simbolico che determina l’appartenenza al lato giusto?

Dove era la Sinistra, tranne qualche dignitosa componente, tutta intenta a contemplare il proprio antifascismo ontologico, dimenticando che essere antifascisti è prima di tutto una prassi che si declina sulle contraddizioni del presente? A partire dal ripudio della guerra; di ogni guerra! E non per riempire piazze quando è l’elettorato stesso a ripudiarti.

La memoria ci insegna che la discontinuità rispetto al Male è proprio nella distanza che l’azione di ciascuno può determinare.

Dove eravamo tutti, mentre il mondo ripresentava la ferocia apocalittica come la misura stessa di una virtù salvifica e perentoria?

Sappiamo tutti la risposta. La Coscienza del Mondo è una sponda del bisogno che declina gli interessi parziali; sia quelli del singolo che quelli generali. Siamo tutti immersi in uno Spirito esistenziale che ha fatto strame della solidarietà, che ha atomizzato le reciprocità. Uno sfondo che ha definito il disumano come modello competitivo a cui sacrificare la pace e la giustizia. Un imperativo che deporta non solo le differenze, ma qualunque possibilità di vita che non si allinei al dominio dell’Impotenza. Un discorso che nell’oppressione dei vinti celebra un culto necrofilo della sicurezza. Il talento dei meritevoli è il decoro sociale che respinge i perdenti.

Ecco dove eravamo, tutti!

E allora proviamo ad esporle ora ” le Belle Bandiere”!

Marco Cosentina

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