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Melone reggiano: quattro varietà tutte da scoprire

Mattia Amaduzzi
Melone reggiano: quattro varietà tutte da scoprire

Sono presidio Slow Food dal 2020: il rospa, il ramparino e il banana, di Lentigione e Santa Vittoria

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Reggio Emilia Gli antichi meloni reggiani sono varietà locali, che vantano una lunga tradizione, e di recente sono stati riconosciuti come presidio Slow Food. La zona di selezione è la pianura, non solo reggiana, ma anche parmense, modenese e mantovana. Ma la raccolta, la descrizione botanica è stata fatta proprio nel reggiano, «ed è per questo che abbiamo cercato di mantenere la potestà sul nome – racconta Daniele Galli, il referente dei produttori –. Sono varietà antiche, coltivate almeno da 50 anni sul territorio, anche è difficile quantificare quanto si possa andare indietro nel tempo. Alcuni tipologie di meloni, che troviamo tutt’ora, sono riportate in testimonianze pittoriche, anche risalenti al ’500 e ’600, sia in quadri che negli affreschi di Palazzo Tè a Mantova, e sono citati dall’agronomo reggiano Filippo Re, in un documento del 1811».

 

Quante tipologie di meloni antichi ci sono?
«Sono quattro: il “rospa”, il ramparino, il banana di Lentigione e il banana di Santa Vittoria. Gli ultimi due nomi sono stati conferiti di recente, perché quando sono stati registrati a livello nazionale c’era bisogno di differenziarli. E dunque abbiamo scelto il luogo in cui vengono coltivati».

Quali sono le loro caratteristiche?
«I banana sono meloni lisci, mentre il ramparino è retato e molto piccolo. Infine il “rospa” è quello più particolare, perché ha la superficie rugosa come una zucca. Si chiama così per via del suo aspetto, simile ad un rospo. Non è bello a vedersi, ma ha un ottimo sapore, con un retrogusto pepato». Come vengono coltivati? «Si tratta di frutti molto “rustici”, e quindi basse esigenze in termini agronomici, cioè di lavorazione del suolo e di concimazione. Sono inoltre poco suscettibili a malattie. Ma purtroppo c’è anche un rovescio della medaglia...».
Ovvero?
«Sono varietà poco produttive. Inoltre hanno una bassa conservabilità. Ed è per questo motivo che col tempo sono stati soppiantati dalle varietà moderne, estremamente produttive e altamente conservabili. Gli antichi meloni reggiani sono adatti per il consumo famigliare o al chilometro zero. Ovvero, alla mattina l’agricoltore lo coglie e lo vende subito. E va consumato quasi in giornata. Parliamo di meloni estremamente saporiti, intensi, e quindi si deteriorano in fretta». Qual è il periodo della raccolta? «Dipende da che tecniche si usano. Solitamente tra fine giugno e primi di luglio. È il loro picco».
Qual è il modo migliore per consumarli?
«Si prestano a varie preparazioni. Si possono mangiare sia freschi, che cucinare – possono diventare sia primi che secondi – oppure vengono trasformati: marmellate e sorbetti. Quest’ultima è un preparazione ottima per il banana di Lentigione. Il melone “rospa” volendo può anche essere cotto al forno, con cioccolato e amaretti, come le pesche». Vengono usati dagli chef per le loro ricette? «Andrea Medici, chef del ristorante Osteria in Scandiano preparò una ricetta in occasione del riconoscimento del presidio Slow Food».
Come siete riusciti a raggiungere il presidio di Slow Food?
«Nel 2020, ci fu un bando del Ministero delle politiche sociali, che identificava un presidio per regione. Lo Slow Food presentò una rosa di candidati e il Ministero scelse il nostro. Una banca locale contribuì nella stesura di tutta la parte divulgativa».
E il prossimo passo sarà il marchio Igp?
«No, non ci sono le condizioni. La produzione è troppo limitata. In tutto sono una decina le aziende che li coltivano sul territorio, ma parliamo sempre di pochi esemplari: al massimo qualche decina per varietà. La produzione complessiva, dunque, è di qualche quintale di prodotto in tutta la provincia. Non c’è la sostenibilità per un percorso del genere. Purtroppo, come sempre, la produzione e la diffusione sono strettamente legati alla domanda. Se un giorno il tessuto produttivo sarà in grado di promuoverlo a sufficienza e ovviamente i consumatori lo riterranno un prodotto interessante, allora aumenterà la produzione, e allora chissà. Ma al momento non vedo gli elementi per il marchio Igp». l © RIPRODUZIONE RISERVATA