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Il fascino della gente d’acqua della Bassa: dai pontieri ai vecchi barcaioli

Il fascino della gente d’acqua della Bassa: dai pontieri ai vecchi barcaioli

Alla Casa dei Pontieri, a Boretto, si rivivono le tradizioni fluviali e al Museo del Truciolo a Villarotta si impara a fare la trecciaiola

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Boretto La “gente della Bassa” è popolazione o popolo? Questo è il dilemma! Per trovare una risposta bisogna ammettere alcuni paradossi, in tipico stile italico: in ogni piccolo paese si percepisce una sorta di orgoglio ben circoscritto al perimetro del Comune, tale per cui si pensa di essere in un qualche modo migliori e diversi dal paese successivo; a volte è un orgoglio talmente profondo, da ridurre il raggio di azione anche solo ad una frazione di paese, ma per quanto ogni comunità si pensi diversa e migliore, uno sguardo esterno si può accorgere di quante invece siano le similitudini. Gli elementi che compongono il popolo della Bassa Reggiana moderno, sono davvero tanti: dobbiamo risalire all’età del Bronzo, dove erano presenti numerosi agglomerati umani, grazie alla fertilità della terra e alla ricchezza di acque; si passa poi attraverso Liguri, Galli, Romani, Longobardi, alcune infiltrazioni bizantine dalla Romagna, dominio matildico, epoca delle signorie, influenza da parte della Repubblica veneziana e l’esperienza della Repubblica Cisalpina di influenza francese. Dopo questo sintetico elenco, ci si può rendere conto di quale meraviglioso e ricco mix di culture siamo risultato e di come questa sintesi regali oggi un patrimonio più unico che raro. Dei tanti titoli che qui la gente vede riconoscersi uno dei più significativi è “Gente d’acqua”, ovviamente derivante dalla connessione con il fiume Po, ma l’elemento acqua può essere interpretato in molti modi: dall’uso funzionale per la coltivazione dei campi, sappiamo tutti quanto l’agricoltura qui sia sviluppata, è simbolo di vita, è una via di comunicazione, di commercio, nonché di fuga, in termini più recenti è diventato campo fertile per attività sportive e turistiche, infine è ispirazione e consolazione, grazie a quel suo scorrere lento e costante che suggerisce riflessioni senza parlare. Da un punto di vista più quotidiano, vediamo quali sono stati e sono ancora oggi i mestieri legati al fiume; si può facilmente pensare che in passato i mestieri erano molto più carichi di fatica, ma anche di fascino. Pensiamo al pontiere il cui compito principale era la costruzione, manutenzione e riparazione dei ponti, sia che questi fossero di barche oppure sospesi.

A Boretto troviamo il museo “Casa dei Pontieri”, un luogo ideale per rivivere l’atmosfera delle più autentiche tradizioni fluviali, si trovano infatti il modellino in scala del vecchio ponte, le fotografie e gli attrezzi da lavoro che bene sanno raccontare la passione dell’ultimo capo pontiere. A Guastalla c’è una struttura ricettiva completamente immersa nei luoghi naturali del fiume, quella che prima era la dimora degli addetti al controllo e alla manutenzione del ponte tra Guastalla e Dosolo, oggi è diventata la Locanda dei Pontieri e con il suo ostello sul Po offre un alloggio dalle caratteristiche green e slow e si propone come luogo di relax e ristoro per il ciclista di passaggio. Non ci si può dimenticare dell’ingegneria quando di parla di corsi d’acqua. Uno dei più evidenti esempi fa riferimento agli impianti di bonifica, grazie ai quali è stato possibile recuperare territori completamente allagati e paludosi, andando a disegnare nuovi confini e creando nuove opportunità di vita. Sul nostro territorio è possibile visitare due impianti di particolare rilievo. Il primo è il nodo idrovoro di Boretto, formato da 3 edifici paralleli tra loro e di fondamentale importanza per tutto il comprensorio irriguo delle provincie di Reggio Emilia, Modena e della destra mantovana; l’epoca di costruzione parte dai primi anni venti del ‘900 fino agli anni Cinquanta. All’interno di uno di questi edifici, la chiavica, troviamo il Museo multimediale della Bonifica dove grazie al suo permanente allestimento è possibile rendersi conto dell’importanza che questo impianto ha avuto ed ha ancora per tutto il territorio, sia in termini ecologici che di difesa. A 16 chilometri di distanza, percorribili in bici su ciclovie miste di strada sterrata e asfaltata, si raggiunge il nodo idrovoro di Gualtieri chiamato anche “Torrione”: questo è l’unico esempio rinascimentale (1576) di edificio per la bonifica ancora esistente e funzionante, il cui scopo è quello di gestire le acque del Crostolo, affluente del Po e di alcuni canali ad esso connessi. Molto prima della nascita di autostrade e aerei, saper navigare era un prezioso talento, figure come i barcaioli e i navigatori erano fondamentali per l’area, infatti erano loro a gestire il traffico di persone e merci; oggi le cose sono molto cambiate e navigare sul lungo fiume ha obiettivi per lo più mondani e sportivi. Questo ha permesso la nascita di nuove professioni, pensiamo alle guide ambientali escursionistiche, alcune delle quali oltre ad accompagnare attraverso i sentieri come la via Matildica esperti o pellegrini, sono abilitati in esperienze sul fiume come la canoa. Anche se molto meno romantico, non si può dimenticare che il fiume è anche un ricco bacino di materiale utile per l’edilizia, molto più ieri di oggi, l’attività di escavazione lungo il fiume era intensa e ciò che ne rimane sono delle ex cave; questi luoghi sono diventati nuovi habitat per le diverse specie animali che vivono direttamente o indirettamente il fiume, in particolar modo i molti uccelli che individuano in queste aree la possibilità di riposo, ristoro e nidificazione. Un altro luogo importante da segnalare è il Museo del truciolo di Villarotta di Luzzara, il quale si trova all’interno di un’antica chiavica (1484), ovvero una struttura idraulica che serve a gestire il flusso dell'acqua, in particolare per controllare il passaggio dell'acqua da un canale o fiume. Visitando questo luogo è possibile imparare di un antico mestiere ormai sparito, quello della trecciaiola, una figura che una volta ottenuti i paioli dai tronchi di pioppo, li trasformava in trecce da cui si ottenevano cesti e cappelli.l © RIPRODUZIONE RISERVATA