«Una messa per il processo di Bibbiano». E’ polemica a Reggio Emilia
Organizzata al Sacro Cuore in via della sentenza di primo grado. Eboli: «Una cosa mai vista». Tarquini: «Non ridurre la Chiesa a una realtà di parte»
Reggio Emilia «Una celebrazione eucaristica per il processo di Bibbiano che si sta concludendo nel primo grado». Scatena polemiche la messa organizzata alla chiesa del Sacro Cuore, in programma mercoledì 25 giugno alle 18.30, all’avvicinarsi della conclusione del processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza.
Marco Eboli, storico esponente della destra reggiana, rivolge un accorato appello al vescovo Giacomo Morandi per evitare «di trasferire i conflitti politici al suo interno. A mia memoria non ho mai visto celebrare una messa per un processo, ma nel caso specifico mi chiedo e chiedo al vescovo Morandi per chi sono chiamati a pregare i fedeli. Per gli imputati nel processo “Angeli e Demoni”, o per i giudici che li dovranno giudicare? Ma soprattutto perché la Chiesa si deve schierare quando è in corso un processo al primo grado di giudizio. È intenzione del parroco dell’Unità pastorale don Davide Poletti celebrare messa anche in occasione degli eventuali altri gradi di giudizio e, rimane sempre l?interrogativo iniziale: perché?».
Anche l’avvocato Giovanni Tarquini (Reggio Civica), difensore dell’ex sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, concorda con Eboli: «Da cristiano credo che la messa sia lo strumento più importante per fermarsi a riflettere, pensare e pregare. È un momento che deve elevare al di sopra delle dispute e delle contrapposizioni terrene rendendo tutti uguali, con torti e ragioni, davanti a Dio. Se così non fosse non avrebbe alcun senso o utilità e ridurrebbe la Chiesa a una realtà di parte. La solidarietà per qualcuno o l’adesione a qualcosa la si può esprimere in tanti modi, ma senza dubbio eviterei di trascinare l’alto momento della messa in un rito augurale per la prevalenza di una idea sull’altra, di una ragione sull’altra, di una opinione sull’altra - prosegue Tarquini -. In tanti anni di professione e di processo ho imparato che la sofferenza appartiene a tutti e non risparmia nessuno. Va gestita e sopportata nell’intimità del proprio animo lasciando al sistema sociale e ai suoi meccanismi, non alla messa, la soluzione dei conflitti quotidiani, anche quelli più aspri, tra torto e ragione».