Il comandante della Polizia Locale delle Colline Matildiche in pensione dopo 41 anni: «Ho sempre puntato sulla mediazione»
Lazzaro Fontana: «Una delle soddisfazioni è aver portato a zero l’abusivismo commerciale nei mercati dei nostri territori»
«Ho vissuto il mio impegno nella polizia locale come un servizio alla comunità. La polizia locale fa rispettare le regole perché senza queste si va verso l’anarchia, e quando ognuno fa quello che vuole, finisce per calpestare i diritti degli altri». Lazzaro Fontana, comandante della Polizia Locale dell’Unione Colline Matildiche, si prepara ad andare in pensione il 1° luglio, dopo oltre quarant’anni di carriera.
Cosa l’ha spinta a scegliere questo mestiere?
«Ho iniziato come vigile urbano, all’epoca si chiamava così, nel 1984 a Scandiano. Cercavo qualcosa che mi permettesse di essere vicino alla gente. Mi affascinava l’idea di poter gestire le relazioni tra le persone attraverso regole condivise. Non norme calate dall’alto, ma strumenti del vivere civile quotidiano. Il regolamento di polizia urbana, per esempio, decide cose molto concrete, che toccano la vita di tutti i giorni».
In quarant’anni il mondo è cambiato e, ovviamente, anche la società reggiana.
«Sì, profondamente. Un tempo l’autorità era riconosciuta, rispettata quasi senza discussione. Oggi, spesso, viene vissuta come un’imposizione. C’è una forte autoreferenzialità, una tendenza a rifiutare le regole preordinate. E questo rende tutto più difficile».
E come ha affrontato questo cambiamento?
«Con il buon senso. Che non significa arbitrio, ma cercare sempre il principio dietro la norma. Essere formali a volte porta a decisioni ingiuste. Ho sempre pensato che il nostro ruolo fosse quello di mediare, far comprendere, far rispettare. Anche applicando le nuove possibilità, come la diffida amministrativa: si segnala l’irregolarità senza multare subito, per educare».
Com’è cambiata la Polizia Locale nei decenni?
«Molto. Non ci occupiamo più solo di codice della strada. Anzi, oggi siamo chiamati a intervenire in molti altri ambiti: sicurezza urbana, mediazione dei conflitti di vicinato, rispetto delle norme commerciali. La nostra figura è diventata più complessa e articolata».
Il ricordo più bello?
«Quando ero comandante a Monterosso, alle Cinque Terre, nel 2016. Un bambino tedesco di cinque anni si era perso. I genitori erano saliti con lui su un treno affollato, ma lo avevano perso di vista. Lo abbiamo ritrovato, spaventato, vicino alla stazione. Parlava solo tedesco, abbiamo trovato un interprete e lo abbiamo tranquillizzato con acqua fresca. Non aveva documenti e i genitori non si erano ancora registrati in albergo. È stata una grande gioia riconsegnarlo alla sua famiglia». E il più brutto? «Nel 2022, quando dovemmo comunicare a una donna di Quattro Castella che il marito era morto in un incidente in moto. Erano sposati da poco, lei aspettava un bambino. Aprì la porta con un sorriso... Non lo dimenticherò mai. Non sono riuscito a dormire per giorni».
C’è qualcosa che la rende orgoglioso?
«Una delle soddisfazioni è aver portato a zero l’abusivismo commerciale nei mercati dei nostri territori. Con controlli costanti e collaborazione con amministratori e associazioni, ad azzerare di fatto l’abusivismo nei mercati e negli eventi pubblici. Non si vedono più venditori non autorizzati lungo le strade o nei pressi delle sagre».
Bullismo, baby gang, reati... Il disagio giovanile è un tema molto attuale.
«È un problema reale, che parte da lontano. Le famiglie hanno delegato troppo alla scuola, anche sul piano educativo. Ma attenzione a non generalizzare: ci sono tanti giovani in gamba. Dovremmo valorizzare le esperienze positive, creare esempi da seguire».
Leggo dal suo curriculum che parla anche un po’ di portoghese, come mai?
«È nato da un’esperienza familiare: con mia moglie e i miei figli abbiamo partecipato due volte a campi missionari in Brasile, organizzati dalla Diocesi di Reggio Emilia. Lì abbiamo lavorato con i bambini di strada. Un’esperienza intensa, che mi ha lasciato molto e mi ha spinto ad avvicinarmi alla lingua. Conoscere anche solo un po’ il portoghese era un modo per entrare in relazione più profonda con le persone che incontravamo».
E ora?
«Mi fermerò un attimo : mi guarderò intorno e poi cercherò di fare qualcosa di nuovo, di sperimentare senza pregiudizi, consapevole e ricco delle esperienze che la mia professione in mezzo e al servizio della gente mi ha permesso di vivere. Non andrò al bar a giocare a carte o a guardare i cantieri..». © RIPRODUZIONE RISERVATA