Polo della moda, Confindustria attacca la Cgil: «Una vertenza aziendale gestita male, che ha fatto saltare il più grande singolo investimento industriale della storia della città»
Il duro commento degli industriali reggiani: «Il voler creare un inesistente caso nazionale ha creato una crisi di relazioni tra Max Mara e il Comune»
Reggio Emilia Riguardo al dietrofront di Max Mara, è arrivato il commento di Confindustria Reggio Emilia: «In queste settimane si è verificata una situazione inedita – si legge nella nota – in quanto una normale vertenza aziendale ha assunto caratteristiche tali da portare il fisiologico confronto tra le parti ben al di fuori dei confini dell’impresa, fino ad assumere le caratteristiche di una sempre meno comprensibile vicenda mediatica e politica».
Confindustria Reggio Emilia spiega di non si riconoscersi «nelle modalità con cui la Rsa interessata ha gestito questa vertenza aziendale, ponendosi intenzionalmente l’obiettivo di alimentare in ogni modo un inesistente caso nazionale, nonché una gravissima crisi nelle relazioni tra la stessa MaxMara e il Comune di Reggio Emilia». Una crisi, dunque, «che ha finito con il pregiudicare definitivamente sia il più grande singolo investimento industriale della storia di Reggio Emilia, sia il più ampio e ambizioso progetto di rigenerazione urbana mai predisposto nel capoluogo».
Per Confindustria, questo comportamento «ha causato l’autonoma presa di posizione di un numero considerevole di collaboratrici della Manifattura di San Maurizio, che non si riconoscono nei contenuti e nei modi della richiamata vertenza e che hanno denunciato la falsità delle dichiarazioni sulle condizioni di lavoro in azienda. A ciò si è aggiunta la presa di distanza di una delle maggiori organizzazioni sindacali della provincia, fatto che testimonia la inverosimiglianza delle sin qui non verificate roboanti denunce riferite a presunti comportamenti aziendali».
Confindustria ritiene un fatto gravissimo «l’intenzione di massimizzare il danno di immagine a MaxMara attraverso l’uso dei media, dei social e delle relazioni politiche di parte. Un danno, quest’ultimo, che non appartiene alla tradizione del movimento sindacale italiano che ha sempre operato anche per difendere l’impresa e la sua reputazione, considerati come beni in sé», conclude la nota.