Ufficio immigrazione, in coda sotto il nubifragio per avere un documento
Il racconto di un trentenne che ha vissuto una vera e propria odissea in via Piave. Martedì era in fila quando si è scatenato il temporale
Reggio Emilia Da mesi, al sole o sotto la pioggia, con trenta gradi o con la temperatura sotto zero, davanti all’ufficio immigrazione della questura di Reggio Emilia, in viale Piave, ci sono a tutte le ore interminabili code di cittadini stranieri che cercano di ottenere i documenti necessari per vivere, lavorare o essere in regola sul territorio italiano. Questa la testimonianza di un immigrato che martedì, quando si è verificato il nubifragio, si trovava in fila.
«Vorrei condividere con voi la mia esperienza con una testimonianza di ciò che sta accadendo in questura a Reggio Emilia. Per il contesto: ho 30 anni, sono un immigrato, ho due lauree e sono sposato con una donna italiana. A gennaio 2024 abbiamo iniziato la legalizzazione: allo Sportello per l’immigrazione ci è stato dato appuntamento per luglio 2024 per presentare richiesta di permesso di soggiorno. In tale data, ho depositato tutti i documenti e mi hanno preso le impronte digitali. La ricevuta della questura prevedeva il ritiro del permesso di soggiorno a ottobre 2024. Il giorno del ritiro mi hanno detto che il permesso di soggiorno non era ancora pronto. Da allora non ho avuto alcun feedback e ulteriori informazioni sullo stato dei miei documenti. Le e-mail rimangono senza risposta, esattamente come le telefonate. È praticamente impossibile entrare nell’ufficio informazioni di via Dante, perché è impossibile ottenere un appuntamento (va richiesto allo sportello dello stesso ufficio informazioni) e devi aspettare in una coda caotica per strada. Spesso la porta dell’ufficio resta chiusa e gli agenti escono a chiamare chi ha appuntamento e, a propria discrezione, decidono se lasciarti entrare, o perlomeno, ascoltare le tue domande, rispondendo spesso in modo vago, senza nemmeno controllare la situazione specifica personale. Se ritengono che la tua domanda sia fuori dalla loro area di responsabilità, allora ti mandano a fare la coda davanti all’ufficio in viale Piave dove, spesso, dopo ore di attesa, si viene di nuovo indirizzati allo sportello di via Dante».
«Quando, finalmente, dopo aver fatto la fila per giorni, mi hanno fatto entrare nell’ufficio informazioni, l’agente dello sportello ha affermato che non mi avevano trovato all’indirizzo di residenza indicato nella dichiarazione (il che non è vero, perché ero a casa tutto il giorno e le uniche persone che hanno suonato il campanello sono stati i testimoni di Geova, i postini e i corrieri). Non ho ricevuto nessuna comunicazione ufficiale che un agente fosse passato a controllare la residenza. Sono stato invitato di nuovo ad aspettare. Lunedì 7 luglio io e mia moglie siamo andati per l’ennesima volta in questura per cercare di ottenere qualche informazione. Dopo un po’, un poliziotto dell’ufficio informazioni di via Dante ci ha indirizzato all’ufficio di viale Piave. Lì abbiamo aspettato diverse ore. L’agente in servizio ci ha ascoltato e ci ha cortesemente invitato a tornare il giorno dopo, nel primo pomeriggio, senza che fosse necessario prendere appuntamento, per un controllo della pratica. Martedì 8 luglio, ore 14: mezz’ora prima dell’apertura dell’ufficio c’era già una fila enorme (circa 50 persone). Per la prima mezz’ora, l’agente in servizio ha cercato di capire come organizzare le persone per permettere un ingresso ordinato, distribuendo i biglietti con i numeri nella seguente priorità: avvocati, persone con bambini piccoli (solo se con passeggino, le altre famiglie con bambini ma senza passeggino sono state invitate ad attendere insieme agli altri) e il resto. Un’ora dopo ha iniziato a piovere, dopo altri 15 minuti il forte vento ha spezzato i rami degli alberi di fronte all’ufficio e ha iniziato a grandinare. Noi eravamo ancora fuori, in fila, ad attendere il nostro turno. Con noi c’erano circa 30 persone (la maggior parte senza ombrelli o impermeabili), a nessuno veniva permesso di entrare, nemmeno per proteggersi dal maltempo. La folla fradicia e scioccata si è fatta strada all’interno dei locali, perché era l’unico posto nelle vicinanze dove rifugiarsi. L’agente di polizia che sarebbe dovuto restare all’ingresso si era ritirato dietro a uno sportello. Un minuto dopo è uscito dallo sportello per comunicare alla folla di "violenti" un ultimatum, ricordando il proprio ruolo di "rappresentante dello Stato e della Legge ": chi aveva avuto il privilegio di ricevere un biglietto con il numero poteva restare all’interno dell’edificio; il resto è stato invitato a lasciare "con le proprie gambine" l’ufficio per motivi di sicurezza (nonostante in strada il maltempo non si fosse ancora fermato).
«Sono riuscito a realizzare un video, sia dell’attesa sotto l’acqua che del discorso dell’agente. Sono pronto a capire e perdonare molte cose: il ritardo dei documenti (ad esempio, a causa del flusso di lavoro centralizzato attraverso Roma e del gran numero di migranti), incompetenza del personale e della direzione (mancanza di risposte chiare e dettagliate e ulteriori informazioni, mancanza di organizzazione di accoglienza, accesso sempre chiuso ai locali, mancanza di risposta via e-mail e telefono). Non si tratta nemmeno di professionalità, ma di semplice buon senso, empatia umana e rispetto per le persone (a prescindere dalla loro nazionalità). Spero che sia possibile pubblicare la mia storia e i video con l’obiettivo di informare i lettori e i cittadini di ciò che sta accadendo, affinché il Paese possa vedere come chi dovrebbe difendere i nostri diritti è il primo che, invece, li calpesta. Io sono fortunato e non posso lamentarmi delle condizioni di vita, ma ci sono persone che per anni non possono legalizzarsi, non possono vedere un medico o ottenere un lavoro decente, e la cosa peggiore è che alcuni di loro hanno già figli e non hanno nemmeno la possibilità di risolvere presto il loro status. E tutti noi spesso non siamo in grado di ottenere un risultato a causa dell’ignoranza o della mancanza di capacità di fare leva (ad esempio, tramite un avvocato) per far funzionare il sistema (nella persona dei suoi rappresentanti), seguendo le proprie leggi»