Adriatico da salvare: «Il Po scarica 145 tonnellate di plastica all’anno in mare»
AdriPlast è il progetto che unisce sei Paesi contro l’inquinamento. La ricercatrice Corinne Corbau: «Fondamentale ridurre la plastica alla fonte come tutela di ecosistemi, pesca e salute»
C’è un nuovo fronte contro le plastiche nell’Adriatico. Si chiama AdriPlast, nasce sulla scia di Net4mplastic e porta in squadra il Cursa di Unife e cinque Paesi. Iniziato a settembre 2024 e lanciato ufficialmente a Ferrara il 3 febbraio, AdriPlast mette a sistema tre anni di lavoro transnazionale per capire, misurare e ridurre l’inquinamento da plastica e microplastica “dal fiume al mare”, ereditando metodi, reti e lezioni del progetto precedente Net4mplastic. Lead partner è il Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente, presieduto dal professor Umberto Simeoni. Il coordinamento operativo è affidato alla dottoressa Corinne Corbau, in qualità di project manager. Per Unife sono in prima linea i professori Massimo Coltorti, Carmela Vaccaro e la dottoranda Elisa Pignoni. Il progetto unisce Italia, Croazia, Slovenia, Serbia, Montenegro e Albania.
Quali le azioni che avete portato avanti fino ad ora?
«Abbiamo avviato campagne condivise tra i partner su coste di acque di transizione e foci – spiega Corinne Corbau, ricercatrice di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione di Unife - con focus su Po e Nord Adriatico. Nell’ottica del coinvolgimento attivo, abbiamo sviluppato azioni di citizen science e sensibilizzazione, tra cui la pulizia dell’Isola dell’Amore a Goro con Plastic Free. Poi abbiamo messo a punto un approccio metodologico comune “from source to sea”, con banca dati condivisa e road-map per il monitoraggio nelle “aree pilota”. Abbiamo anche pubblicato un articolo scientifico sul citizen scienze, ovvero il coinvolgimento del pubblico non specializzato in attività scientifiche, attraverso la raccolta di dati, osservazione di fenomeni naturali o la co-creazione di conoscenza con i ricercatori, perché per il monitoraggio dell’inquinamento da plastica, l’alleanza della ricerca con il volontariato è fondamentale. Abbiamo elaborato un approccio integrato per il citizen science: il bioplastic blitz: un evento di citizen science intensivo, ispirato ai BioBlitz naturalistici, ndl quale cittadini, studenti, ricercatori e stakeholder collaborano in modo strutturato per monitorare la biodiversità e identificare, raccogliere e analizzare rifiuti plastici e bioplastici in un’area specifica, in un arco di tempo».
A cosa è finalizzata la ricerca? Cosa rileva?
«I parametri della ricerca sono abbondanza e tipologia di rifiuti, dove sono, in che quantità e stato. Oltre a parametri fisico-chimici dell’acqua per legare stato ambientale e presenza di plastica. L’obiettivo è risalire alle fonti (terrestri e sea-based), ai percorsi di trasporto e ai punti caldi di accumulo, per ridurre i carichi alla fonte e mitigare gli impatti su ecosistemi e filiera alimentare».
Dove si effettuano i monitoraggi?
«Nel ferrarese i rilievi avvengono in aree pilota costiere e di transizione del Delta del Po, in particolare Sacca di Goro, Isola dell’Amore e Scanno di Goro, tratti di litorale da Goro a Comacchio, insieme ai rami di foce. Queste zone sono strategiche perché funzionano da snodo tra gli apporti fluviali e l’Adriatico settentrionale. In Veneto siamo a Rosolina e Boccasette. Poi ci sono altri punti in Italia e nei paesi coinvolti».
Alla luce della vostra ricerca, qual è lo stato di salute dell’Adriatico ferrarese?
«Il quadro resta critico: i litorali italiani presentano una media di 250 rifiuti ogni 100 metri, ben oltre la soglia europea di 20 per 100 metri necessaria per il “buono stato ambientale”. Le aree lagunari e di foce, a bassa energia idrodinamica, tendono ad accumulare più plastica e microplastica, con il rischio di trasferimento lungo la catena trofica». Cosa si trova più di frequente? «Rifiuti monouso, perdite da pesca e acquacoltura, scarichi urbani e industriali, rifiuti derivanti da turismo e gestione non ottimale. Gli altri fattori che incidono su quantità e distribuzione sono il trasporto fluviale lungo il Po, gli eventi meteo-marini e idrologici come piene o mareggiate, la geomorfologia e la vegetazione dunale che intrappola materiali leggeri. Nell’Alto Adriatico, una parte rilevante dei rifiuti deriva da fonti terrestri e giunge via rete idrografica».
Il Po quanto condiziona la salute del mare?
«Recenti studi mostrano che il Po è uno snodo chiave per l’immissione di plastiche nel Nord Adriatico. Stime scientifiche indicano un carico annuo di circa 145 tonnellate di particelle flottanti veicolate dal fiume al mare, con contributi maggiori in primavera-autunno e durante le piene. Le foci, come ad esempio l’area di Goro, funzionano da hotspot d’accumulo e rilascio lungo costa. L’effetto è evidente dopo eventi di piene e mareggiate, ma esiste un “rumore di fondo” continuo”».
Conducete anche ricerche sulla fauna marina?
«Sì, monitoraggi su mitili e pesci indicano presenza di microplastiche (soprattutto fibre). In letteratura, per l’Adriatico settentrionale e i prodotti della pesca si osservano percentuali variabili di esemplari con microplastiche nello stomaco e intestino, circa dal 23% in alcuni lotti commerciali fino al 48% in campioni del Nord Adriatico, con implicazioni per la filiera alimentare e l’esposizione umana».
Cosa possiamo concludere?
«Le nostre coste sono ancora sopra i target europei di pulizia delle spiagge. La foce del Po è un nodo cruciale, lagune e foci sono hotspot di accumulo. Noi continueremo con monitoraggi coordinati, citizen science e azioni mirate, con più filoni su tracciabilità e bioplastiche con Unife. Riteniamo fondamentale ridurre la plastica alla fonte come tutela di ecosistemi, pesca e salute, e non ultimo per allineare il territorio agli impegni Ue».l © RIPRODUZIONE RISERVATA