A Reggio Emilia sono oltre 500 le persone senzatetto: vivono in stazione, case abbandonate, alloggi di fortuna
Secondo il rapporto diocesano la mancanza la mancanza di residenza esclude dai servizi come quelli per la salute e lavorativi: oltre il 70% restano “invisibili” ai percorsi di aiuto
Reggio Emilia Fuori sede, famiglie o lavoratori: sono tanti quelli che a Reggio Emilia si impegnano nella ricerca di un alloggio e ne escono sconfitti. Ma in città c’è anche un’altra emergenza casa. Scomoda, silenziosa, invisibile. Il report condotto dall’osservatorio diocesano delle povertà ci racconta di ben 513 persone su 800 incontrate che ad oggi si trovano in condizioni di grave esclusione abitativa. Un dato che conferma quanto anche nel territorio reggiano la marginalità sia una questione strutturale.
La condizione più diffusa è quella di “senza tetto”, ossia colui che dichiara di essere privo di qualsiasi forma di abitazione e quindi costretto a vivere in strada. Molte di queste persone dichiarano di vivere in stazione. Molti trovano rifugio in case abbandonate, alloggi di fortuna o presso parenti e conoscenti, ma soltanto in situazioni temporanee e insicure. Solo una piccola parte accede a soluzioni temporanee offerte dai servizi, dal terzo settore o dal sistema di accoglienza straordinaria, come i dormitori, il cui spazio è insufficiente ad accogliere tutti quelli che un tetto sopra la testa non ce l’hanno. La mancanza di residenza è la goccia che fa traboccare il vaso delle fragilità delle persone senza fissa dimora. Come recita il rapporto citato, infatti, si tratta di «una condizione fondamentale per accedere a servizi sanitari, sociali e lavorativi, oltre l’emergenza. La mancanza di residenza colpisce ancora più gravemente le persone in condizione di grave esclusione abitativa perché non posseggono i requisiti per poterla richiedere, oppure la loro residenza è stata cancellata o è in via di cancellazione per irreperibilità. La mancanza di residenza preclude loro molte opportunità di aiuto».
Esclusi dai servizi, senza un alloggio da poter chiamare casa, quelli che chiamiamo “senza tetto” rappresentano la parte più fragile, marginale e invisibile della nostra società. I protagonisti di una realtà che ci ostiniamo a non voler vedere, o peggio, che ci limitiamo a disprezzare, incapaci di comprendere e di provare empatia.
“Pellegrini di speranza”, il rapporto diocesano condotto da Andrea Gollini, Maria Chiara Bortolotti e Chiara Franco, ci racconta di più delle persone costrette a vivere di espedienti, rifugiandosi nei sottoscala dei nostri condomini, inventandosi una casa di fortuna sotto i portici che attraversiamo ogni mattina per andare a lavoro o portare i nostri figli a scuola. Del totale complessivo delle persone conosciute da Caritas, gli italiani rappresentano una componente significativa, in linea con quanto già evidenziato da Istat, che da anni rileva un aumento costante della povertà estrema anche tra la popolazione italiana. Sempre di più – comprensibilmente – le persone per cui la marginalità assume un significato molto maggiore della mancanza di un tetto sopra la testa: figli a carico, problemi di salute, dipendenze, storie di violenza alle spalle. Caritas si pone dalla parte di chi ha più bisogno: un faro nel buio. Oltre il 70% delle persone restano invisibili, sfuggendo ai percorsi istituzionali di aiuto e presa in carico. Restano soli, mentre noi gli passiamo accanto senza vederli. © RIPRODUZIONE RISERVATA