Gazzetta di Reggio

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Il femminicidio di Novellara

«L’omicidio di Saman determinato da una logica spregevole»: ecco perché è stata riconosciuta l’aggravante dei motivi abietti

Jacopo Della Porta
«L’omicidio di Saman determinato da una logica spregevole»:  ecco perché è stata riconosciuta l’aggravante dei motivi abietti

Le motivazioni della sentenza di secondo grado: «Gli Abbas potevano tutelare il proprio senso dell’onore anche «mediante il ricorso a comportamenti certamente meno cruenti ma di piena efficacia»

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Novellara «L’omicidio di Saman Abbas è stato determinato da una logica ignobile e spregevole: quella di sopprimere una figlia colpevole solo di aspirare a vivere liberamente secondo i propri desideri, in contrasto con il retaggio culturale della famiglia». In queste poche parole è contenuta la spiegazione del perché la Corte d’Appello ha riconosciuto agli imputati l’aggravante dei motivi abietti. Una constatazione solo apparentemente scontata, perché in primo grado tale aggravante non è stata riconosciuta. La questione, che ha catturato meno l’interesse dei media e del pubblico, è di grande importanza giuridica perché affronta il tema dei delitti culturalmente orientati, argomento relativamente nuovo in Italia. I giudici reggiani, è bene premetterlo, non hanno concesso alcuna attenuante basata su motivazioni culturali. Però hanno ritenuto che l’aggravante dei motivi futili e abietti non potesse essere riconosciuta perché per la famiglia Abbas la condotta della figlia ribelle era fonte di disonore. Per la giurisprudenza, il motivo è considerato futile quando il reo agisce per uno stimolo esterno lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato; invece è abietto quando è spregevole e ignobile. I magistrati di primo grado non hanno certo giustificato le valutazioni del clan Abbas, ma hanno ritenuto che l’aggravante non potesse essere applicata perché il movente va parametrato sul contesto culturale e ambientale degli imputati. I giudici bolognesi la pensano in modo opposto. In primo luogo ricordano che «l’ordinamento giuridico penale Pakistano sanziona il delitto di onore», inoltre l’Unione delle Comunità Islamiche Italiane (Ucoii) e la Confederazione Islamica Italiana si sono costituite parte civile perché il delitto ha gettato discredito sulla religione islamica ed è «in insanabile contrasto con il precetto musulmano».
 



Inoltre, «la motivazione criminale muove da posizioni culturali di estrema arretratezza anche nel contesto del Paese di origine, e che sono state conservate dal clan secondo modalità assolutamente impermeabili alla cultura ed al dettame religioso sia del Paese di provenienza che del Paese che lo ha accolto». I giudici di Bologna si rendono conto che il comportamento di Saman era ritenuto insopportabile dalla famiglia. Ma «l’omicidio di una figlia non costituisce – né può in astratto costituire – l’unico rimedio». Gli Abbas, ipotizza la Corte, potevano tutelare il proprio senso dell’onore anche «mediante il ricorso a comportamenti certamente meno cruenti ma di piena efficacia». Potevano «segregarla in casa o ricondurla coattivamente in Pakistan». Ovviamente i giudici non vogliono dire che tali condotte sono tollerabili, ma osservano «come la premeditazione e la esecuzione dell’omicidio della ragazza si risolvano in una reazione da parte del clan di estrema violenza, all’evidenza clamorosamente sproporzionata – anche alla stregua della propria cultura di origine – alla violazione dei propri precetti culturali». Insomma, di fronte a reati culturalmente orientati, c’è un limite oltre il quale non ci si deve spingere, anche nella comprensione dei moventi. Per questo l’aggravante del motivo abietto è stata riconosciuta.l © RIPRODUZIONE RISERVATA