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Il cold case

Omicidio di Lemizzone, 70 i dna analizzati: così si è arrivati a individuare il presunto killer

Ambra Prati
Omicidio di Lemizzone, 70 i dna analizzati: così si è arrivati a individuare il presunto killer

Correggio: sono passati 13 anni dall’uccisione del 78enne Aldo Silingardi detto Abbo. Le nuove tecniche di analisi decisivi per arrivare al 37enne

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Correggio Pareva un delitto irrisolto, di quelli destinati a rimanere chiusi in uno scaffale polveroso. Invece, a distanza di tredici anni, c’è una svolta clamorosa nel cold case dell’omicidio di Lemizzone di Correggio, costato la vita ad Aldo Silingardi, 78 anni, detto Abbo. Grazie alla tenacia degli inquirenti e della Procura di Reggio Emilia, guidata da Calogero Gaetano Paci, nonché ai passi da gigante fatti dagli esami di laboratorio, il presunto omicida dell’anziano agricoltore è stato individuato: si tratta di un marocchino di 37 anni – all’epoca ne aveva 24 e abitava poco distante dal casolare – pregiudicato, ora in una comunità terapeutica in attesa che la misura cautelare del carcere disposta dal tribunale del Riesame diventi definitiva. L’accusa è di omicidio volontario aggravato a seguito di rapina.

A tradire il responsabile è stata un’impronta insanguinata del palmo della mano destra; impronta che è stata “pulita” e isolata dagli esperti del Ris (il reparto investigazioni scientifiche) di Parma grazie alla tecnica Xrf, una strumentazione all’epoca inesistente, che indicato un nominativo. Una traccia che ricorda da vicino il delitto di Garlasco. È stato dunque un malintenzionato che abitava nei dintorni a introdursi nel casolare isolato in campagna per rubare: scoperto dal proprietario, avrebbe reagito con forza contro di lui colpendolo con vari oggetti trovati nella casa, per poi accanirsi sull’anziano già a terra e fuggire con il portafoglio della vittima. Un ladro sconosciuto, come hanno sempre ipotizzato i familiari senza essere creduti, anzi finendo tra i sospettati. Il delitto risale al 2012. Sono le 17 del 9 luglio quando il 78enne Aldo viene ammazzato nella sua casa di via Lemizzone 39/a, nelle campagne correggesi. L’anziano viene trovato – due ore dopo il delitto, come chiarirà l’autopsia – nella cucina con il cranio fracassato. Chi ha infierito su di lui ha letteralmente fatto a pezzi i mobili, usando una gamba del tavolo e la gamba di una sedia: armi improvvisate, impiegate con una violenza cieca. Aldo, che usa una stampella, è un uomo robusto, un ex agricoltore ed ex muratore che abitava da solo.

Dalla devastazione trovata dai carabinieri intorno al cadavere, subito si ipotizza un delitto d’impeto e una lotta che ha visto la vittima difendersi con forza. Sul caso, rivelatosi piuttosto complesso, si sono alternate le rilevazioni scientifiche e interrogatori a tappeto a più riprese di tutte le persone che facevano parte della cerchia di Abbo. Un dettaglio ha sviato verso l’ambito personale: la porta era intatta, segno che la vittima conosceva il suo assassino. Perciò via via nel corso degli anni sono finiti sotto la lente degli inquirenti i fratelli (Leo, 80 anni, e Mario, 82 anni, morto il 13 marzo scorso), per un periodo perfino il figlio naturale della vittima: vicoli ciechi, che non hanno portato da nessuna parte. L’indagine ha avuto un nuovo impulso due anni fa, quando il pm Maria Rita Pantani ha ottenuto la riapertura del fascicolo. Tra i reperti dell’epoca, le nuove indagini si sono da subito concentrate sull’impronta palmare sulla gamba del tavolo in legno, sradicata e usata come mazza: era già nota – così come un’orma di scarpa –, ma non si era riusciti ad attribuirla a nessuno dei sospettati né ai pregiudicati (le comparazioni con oltre 70 pregiudicati avevano sempre dato esito negativo). Stavolta è andata diversamente: gli specialisti del Ris si sono recati a Milano per isolare l’impronta latente e parziale, lasciata dall’assassino e corrispondente ai rilievi fotosegnaletici presi allo straniero tre anni fa. Gli accertamenti del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Reggio Emilia sulla storia del 37enne hanno trovato ulteriori riscontri e hanno permesso di collocarlo nella zona di Lemizzone. Una persona violenta e spesso ubriaca. Fin qui il quadro accusatorio, che dovrà reggere a processo. Una prima richiesta di carcere avanzata dal pm Maria Rita Pantani è stata negata dal gip Andrea Rat, che non ha disposto nessuna misura. L’accusa ci ha riprovato con il Riesame di Bologna, che al contrario ha accolto l’appello del pm disponendo il carcere per gravità dei fatti, pericolosità sociale dell’indagato e pericolo di fuga. Il 37enne – scarcerato nel 2023, coinvolto in una estorsione ai danni dei familiari e sottoposto a una misura di prevenzione – oggi è libero, in una comunità terapeutica. Il suo avvocato difensore di fiducia Emilio Stagnini – che si trincera dietro a un «no comment» – ha quindici giorni per presentare ricorso in Cassazione; in tal caso bisognerà aspettare il responso. l © RIPRODUZIONE RISERVATA