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Il processo

Rosita Grande Aracri condannata per associazione di stampo mafioso

Ambra Prati
Rosita Grande Aracri condannata per associazione di stampo mafioso

Sette anni e quattro mesi alla nipote del boss Nicolino, figlia di Francesco. Al Comune di Brescello 40mila euro. In aula, il pm Ronchi l’aveva descritta come la «reggente» dell’associazione

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Brescello Ultimo atto, ieri a Bologna, del processo intentato dalla Direzione distrettuale antimafia sulla presenza ‘ndranghetista a Brescello. È stata condannata in rito abbreviato a sette anni e quattro mesi per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso Rosita Grande Aracri, 42 anni, figlia di Francesco e nipote del boss di Cutro Nicolino. Il gup Roberta Malavasi ha accolto in toto la richiesta dell’accusa, la pm della Dda Beatrice Ronchi, che nella precedente udienza, con una requisitoria durata quattro ore, aveva chiesto una condanna a otto anni, poi ridotta di un terzo per un diverso bilanciamento di attenuanti e aggravanti. La pena, come proposto dal pm, è stata messa in continuazione con la condanna già definitiva rimediata dalla donna nel processo Grimilde per attestazioni fittizie con aggravante mafiosa, in particolare per il trasferimento fraudolento della società Eurogrande Costruzioni Srl di proprietà del padre, nel tentativo di salvare il salvabile dalla confisca dell’autorità giudiziaria. La 42enne ha già espiato due anni nel carcere di Piacenza. Scontato il presofferto, a Rosita Grande Aracri — non presente in aula e al momento libera —, quando la condanna diventerà definitiva, rimarranno cinque anni e quattro mesi di reclusione, più i tre anni di libertà vigilata già previsti dalla richiesta del pm Ronchi (in foto).

Si tratta del filone che in origine vedeva tredici imputati: i due ex sindaci Marcello Coffrini e Giuseppe Vezzani, assolti con formula piena dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa; nove persone che hanno patteggiato pene da nove mesi a un anno e mezzo; e infine Rosita Grande Aracri, unica ad aver scelto il rito abbreviato, che garantisce lo sconto di un terzo della pena. In aula, il pm Ronchi l’aveva descritta come la «reggente» dell’associazione: «Ha svolto un ruolo determinante per la cosca di appartenenza, anche in sostituzione di familiari detenuti. Era pienamente informata delle strategie, delle iniziative, degli affari e delle problematiche», come risulta dalle intercettazioni della Dda. Nelle controrepliche, il nuovo avvocato difensore Mario Terracciano, del foro di Nola, ha chiesto la piena assoluzione e una diversa qualificazione dei fatti: «Si è trattato di un’attività gestoria confinata nell’ambito dei rapporti parentali, che non ha mai travalicato i confini della condotta tipica del reato contestato e non si è mai tradotta in un contributo causale volontario finalizzato al rafforzamento degli scopi dell’associazione», ha sostenuto il legale. Una linea difensiva respinta su tutti i fronti, anche alla luce delle pesanti condanne già inflitte al padre e ai fratelli.Il giudice per l’udienza preliminare ha stabilito anche una serie di provvisionali che la 42enne dovrà risarcire alle parti civili: 80mila euro al Ministero dell’Interno; 40mila euro al Comune di Brescello, alla Regione e alla Provincia di Reggio Emilia; 30mila euro all’associazione Libera contro le mafie; 20mial euro all’associazione Cortocircuito; infine 10mila euro al Comune di Reggio Emilia, alla Cgil reggiana e a quella regionale. l © RIPRODUZIONE RISERVATA