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Conciliazione vita e lavoro

Troppe madri costrette a lasciare il lavoro: l’Emilia-Romagna lancia una legge per fermare l’esodo

Paola Benedetta Manca
Troppe madri costrette a lasciare il lavoro: l’Emilia-Romagna lancia una legge per fermare l’esodo

In Italia, 65mila lavoratori per il 70% donne si dimette nel primo anno di vita del figlio. Simona Lembi è la prima firmataria della proposta di legge del Pd che approderà anche in Parlamento

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Bologna Vengono chiamate dimissioni volontarie, ma nella maggior parte dei casi la verità è che non si ha altra scelta. Dopo che si diventa genitori, soprattutto per le madri, nonostante i salti mortali, la fatica, i mille espedienti per incastrare in un puzzle certosino tutti i compiti della giornata, spesso diventa impossibile conciliare il lavoro con la famiglia. E così, migliaia di donne, ogni anno, sfinite, gettano la spugna e rinunciano all’impiego, presentando le dimissioni volontarie. Una decisione pesante che offusca una delle gioie più grandi, quella della maternità, e che le neomamme sono costrette a prendere in fretta: entro il primo anno dalla nascita del loro bebè. Solo così hanno diritto alla Naspi fino a 24 mesi. «La Naspi viene vista come un ammortizzatore sociale: si utilizzano fondi pubblici per accompagnare le madri fuori dal mondo del lavoro quando sono più fragili, invece che tenerle ancorate all’occupazione», traduce senza giri di parole la consigliera Simona Lembi, che è la prima firmataria di una proposta di legge del Pd in Regione Emilia-Romagna che punta a contrastare le dimissioni “poco volontarie” dei neo genitori.

Presentata in Viale Aldo Moro, approderà sui banchi del Parlamento. «Questa proposta di legge ha l’obiettivo di decostruire situazioni che sono accettate perché “il sistema è fatto così” – rimarca Lembi –. Lavora sul principio opposto: capire come può fare il sistema ad aiutare a stare nel mercato del lavoro quando si diventa genitori. L’occupazione femminile è occupazione e il Paese deve mettere a punto nuove norme che rendano possibile non rinunciare a un impiego: è ingiusto e anti-economico». Le dimissioni volontarie dei neo genitori, spiega la consigliera dem, «sono un fenomeno diffuso in Italia, con circa 65mila lavoratori, nel 70% dei casi donne, che nel primo anno di vita dei figli si dimettono, non riuscendo a conciliare la cura dei figli col lavoro. Vorremmo che i fondi pubblici utilizzati per accompagnare le lavoratrici fuori dal mercato del lavoro venissero, invece, investiti per tenercele ancorate». Entrando nel dettaglio della proposta di legge, Lembi parla di un «primo punto che prevede, accanto alla possibilità di presentare le dimissioni davanti all’Ispettorato del Lavoro, che ci sia un rafforzamento degli strumenti che ne verifichino la volontarietà e l'assenza di pressioni o discriminazioni indebite».

La convalida delle dimissioni per inconciliabilità ora è praticamente automatica. «Abbiamo pensato – approfondisce la consigliera Lembi – di bloccare la convalida automatica, consentendo alle persone l’accesso in una rete di supporto». Soprattutto, prosegue, «ci sarebbe una nuova misura, la cosiddetta Naspi in deroga che, usata quasi come ammortizzatore sociale, permetterebbe ai genitori di vagliare offerte alternative alle dimissioni, puntando al reinserimento lavorativo». Un secondo punto, prosegue, «si pone l’obiettivo di recepire nel più ampio modo possibile la Direttiva europea sulla conciliazione del 2019/1158», per arrivare a «definire la prevalenza delle dimissioni volontarie dentro al campo delle discriminazioni, concentrandosi poi sull’organizzazione del lavoro con istituti innovativi di flessibilità, nel rispetto dell’uguaglianza di genere: il diritto al lavoro agile, per esempio, viene riconosciuto ai genitori con figli fino a otto anni e ai caregiver, mentre viene concesso senza limiti a quelli con figli con disabilità». Infine, conclude, «c'è la costruzione di una misura locale di contrasto: facendo incontrare tutti coloro che si interfacciano con le possibili dimissioni volontarie, la Regione, gli enti locali, i servizi dell'infanzia, i centri dell’impiego». Si tratta, di «reti territoriali, che sono in grado di offrire soluzioni alternative alle dimissioni volontarie». L’obiettivo del Pd è arrivare all’approvazione in viale Aldo Moro entro la fine dell’anno, per poi dare avvio al percorso in Parlamento, dato che la competenza legislativa in materia di rapporti di lavoro e tutela contro le dimissioni e licenziamenti appartiene allo Stato. I dem, guidati in Regione da Paolo Calvano, propongono, per dare gambe alla legge, di usare un fondo previsto dalle norme nazionali, ma inutilizzato dal 2018, per finanziare azioni (anche delle imprese) che consentano di mantenere le donne al lavoro. «L’Italia non è allineata alla direttiva europea. La proposta prevede alcune innovazioni di istituti che esistevano nel nostro ordinamento. Abbiamo rispolverato un fondo del 2000 che non è stato più attivato dopo il 2015-2018», spiega Laura Calafà, docente di Diritto del lavoro e dell'Unione europea all'Università di Verona. «È la nostra prima proposta di legge in questa legislatura e il Pd la presenta alle Camere. Lo abbiamo fatto nella passata legislatura a favore della sanità, lo facciamo oggi sulle tematiche del lavoro. E’ un progetto di legge che guarda anche alle imprese, perché punta a creare un meccanismo che consenta di rimanere al lavoro, aiutando le aziende che lo consentono», conclude il capogruppo del Pd in Regione, Calvano.l © RIPRODUZIONE RISERVATA