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Caso Saman, anche i cugini fanno ricorso in Cassazione

Serena Arbizzi
Caso Saman, anche i cugini fanno ricorso in Cassazione

La sentenza impugnata «costruita a partire dal giudizio di colpevolezza», secondo la difesa

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Novellara Un corposo ricorso di 288 pagine che contesta, punto per punto, tutti gli elementi e gli argomenti che hanno portato alla condanna in Appello dei due cugini di Saman Abbas, Noman Ul Haq e Ikram Ijaz.

L’atto è stato depositato in Cassazione giovedì, dall’avvocato Luigi Scarcella, del Foro di Reggio Emilia, in qualità di difensore di fiducia di Noman Ul Haq e in qualità di sostituto processuale per il ricorso e il giudizio di Cassazione dell’avvocato Mariagrazia Petrelli, del Foro di Bologna. Vi si contesta in particolare la premeditazione e la partecipazione di entrami i cugini al delitto.

Il caso di Saman Abbas, uccisa dalla propria famiglia per il proprio desiderio di libertà, ha suscitato profondo scalpore nell’opinione pubblica. La 18enne è stata uccisa a Novellara nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 e ritrovata oltre un anno dopo in una fossa grazie alla collaborazione dello zio.

Il 19 dicembre del 2023 la Corte d’Assise di Reggio Emilia aveva condannato all’ergastolo i genitori, a 14 anni lo zio e assolto i due cugini. Il 18 aprile scorso la Corte d’Appello di Bologna ha inflitto quattro ergastoli per omicidio e per soppressione di cadavere (genitori e cugini) e ha rideterminato la pena per lo zio a 22 anni, riconoscendo a tutti le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi. Quindi, secondo i giudici della Corte d’Appello la famiglia per intero è stata coinvolta nell’omicidio della 18enne che ha pagato con la vita il proprio desiderio di emancipazione.

Il ricorso, presentato alla scadenza dei termini, contesta tutto l’impianto di motivazioni che ha portato a ritenere il delitto premeditato. La Corte d’Appello avrebbe «trascurato di evidenziare concrete carenze o insufficienze nella motivazione assolutoria di primo grado, che avrebbero potuto giustificare la riforma della decisione», si legge nel documento. Si evidenzia, inoltre, come «il giudice di secondo grado», sia «pervenuto alla condanna degli imputati, e al riconoscimento della premeditazione, attraverso una mera lettura alternativa» del materiale relativo al processo di primo grado, «limitandosi a sostituire il proprio convincimento a quello, opposto ma logicamente argomentato, espresso dalla Corte d’Assise di Reggio».

Si sottolinea nel ricorso, come il giudizio di secondo grado sia motivato dalla Corte d’Appello come derivato «esclusivamente da una diversa interpretazione logica delle emergenze istruttorie». Si parla di «mera sostituzione del proprio convincimento a quello del primo giudice, in assenza di qualsivoglia riscontro di errori logici, lacune argomentative o travisamenti della prova nella prima decisione».

La sentenza impugnata, dunque, «non si fonda su una valutazione imparziale del compendio probatorio, ma su una lettura selettiva e confermativa, costruita a partire dal pregiudizio della colpevolezza e dell’esistenza della premeditazione degli odierni ricorrenti: non una verifica, ma una dimostrazione a posteriori della tesi assunta sin dall’inizio». L’avvocato Scarcella, contattato dalla Gazzetta, non ha rilasciato dichiarazioni.