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L’analisi

Caso del video intimo diffuso nelle chat, il prof Vezzali: «Occorre parlare con i giovani nelle scuole»

Alice Tintorri
Caso del video intimo diffuso nelle chat, il prof Vezzali: «Occorre parlare con i giovani nelle scuole»

Il professore di Psicologia interviene sul caso di Reggio Emilia

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Un video filmato nell’intimità di un rapporto sessuale, un telefono tolto furtivamente dalla tasca dei pantaloni che inizia a riprendere. Lei non se ne accorge, ma il ragazzo preme play e la registrazione inizia. Potrebbe rimanere in eterno nella galleria del suo cellulare, ma viene condiviso su un gruppo di amici sui social. D’improvviso, le pareti della stanza in cui il rapporto si consuma crollano: quelle quattro mura, uniche spettatrici dell’atto sessuale, spariscono e lei – soltanto lei – rimane inerme, fragile davanti a tutti. Perché quel filmato, quei pochi secondi catturati dalla videocamera del cellulare del ragazzo, ormai, sono in rete: di telefono in telefono il video fa il giro delle scuole reggiane, raggiunge chiunque e chiunque lo commenta. Dalle risatine agli sguardi, dalle insinuazioni ai silenzi, tutto, a partire dalla condivisione non consensuale di quel video diventa violenza.




È quanto sta accadendo in questi giorni a Reggio, dove un contenuto che sarebbe dovuto rimanere privato è diventato pubblico. “Inoltrato molte volte” si legge su WhatsApp, insieme al video che ritrae la giovane studentessa reggiana. Ad essere complice – anche da un punto di vista legale – è chiunque decida di alimentare una catena ormai inarrestabile. Quel filmato, inviato dal ragazzo agli amici su un gruppo Instagram, ora appartiene a tutti. Meno che alla vittima. Con Loris Vezzali, professore ordinario di Psicologia sociale all’Università di Modena e Reggio Emilia, cominciamo dalla fine, da quali misure dovremmo mettere in campo per prevenire la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, soprattutto, da parte dei giovani. «Entrare nelle scuole, parlare con i ragazzi e le ragazze. Affrontare insieme un fenomeno in preoccupante crescita – sottolinea il professor Vezzali –. Sensibilizzare e prevenire, spiegare ai giovani le conseguenze delle proprie azioni e aprire loro gli occhi sulle implicazioni delle loro scelte è necessario, imprescindibile». A rendere manifesto il bisogno di un’attenzione nuova sui casi di revenge porn o di diffusione non consensuale di immagini esplicite, sono i commenti dei giovani. La leggerezza nel commettere un reato – introdotto con la legge n. 69 del 2019, nota come Codice Rosso –, il loro stupore unito al panico nel momento in cui si scontrano con le conseguenze di un gesto che spesso ignorano essere punibile penalmente. «La sensazione, per loro, è quella che la rete sia un luogo mistico, a parte, in cui il proprio utente è altra cosa rispetto alla persona. Un posto, insomma, in cui è difficile essere riconosciuti – continua Vezzali –. Nel momento in cui si sceglie di condividere un video o una foto intima senza il consenso della persona coinvolta, si aggiungono poi quelli che in psicologia si chiamano meccanismi di disimpegno sociale». Di fronte a messaggi di apprezzamento da parte degli amici (“Ahahah”, “Ci siamo”, “O mio dio rimandalo”) , in cui insieme sono contenuti maschilismo e incoscienza, chi sceglie di inoltrare il video «perde ulteriormente consapevolezza rispetto alla sua azione, sottostima le conseguenze, si disconnette dalla vittima, diventando incapace di immaginare quello che può provare».


E quello che può provare quella ragazza, non lo sappiamo nemmeno noi. «Nonostante il tema della violenza di genere stia iniziando a emergere sempre con maggiore consapevolezza, ne esistono forme che rimangono nell’ombra. La violenza ha tante facce: da quella psicologica a quella economica, fino a quella che oggi si trova al centro della nostra conversazione. I giovani, spesso, non se ne rendono conto. Non si accorgono della gravità smisurata di un’azione del genere. Non la riconoscono come violenza e finiscono per perpetrarla, riducendola a uno scherzo che può però avere esiti drammatici», continua il professor Vezzali. Ed è così che il video, dalle pareti intime e nascoste di quella stanza è rimbalzato da un telefono all’altro, arrivando anche a noi. Quello che è successo a Reggio, lo abbiamo scritto, è soltanto l’ultimo caso in ordine di tempo di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, un reato specifico che ha modificato il codice penale attraverso l’introduzione dell’articolo 612 ter. Tra le altre cose, è bene che lo sappia chi ha condiviso quel video, a commettere il reato non è solo chi lo realizza e lo condivide per primo: la pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da 5mila a 15mila euro si applica anche a chi lo condivide a sua volta, dopo averlo ricevuto.     

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