Il rapper 17enne Laroi Cartier si racconta: «Con la musica dico quello che sento, senza filtri»
Su Spotify sono quasi 6mila gli ascoltatori mensili di Laroi, all’anagrafe Morad Doulale, studente dell’istituto Mandela di Castelnovo Monti
Ha soli 17 anni ma le idee già molto chiare sul percorso e sul suo futuro il rapper reggiano Laroi Cartier, all’anagrafe Morad Doulale. Il suo nome d’arte non è casuale: è nato il 22 luglio del 2022 in un momento difficile e si ispira alla canzone dell’artista australiano The Kid Laroi che gli ha dato la spinta per iniziare. Su Spotify sono quasi 6mila gli ascoltatori mensili di Laroi, studente dell’istituto Mandela di Castelnovo Monti, che – come ci racconta in questa intervista – ha imparato l’importanza di restare umile e di non farsi inghiottire dalle logiche del mercato. La sua musica? È diventata un modo per mettere a nudo le sue emozioni, anche quelle più difficili legate alla sua vita sentimentale.
Qual è la differenza più grande tra il Laroi Cartier di oggi e quello che ha pubblicato i primi singoli che lo hanno reso noto a Reggio?
«La differenza più grande risiede nella consapevolezza e nell’umiltà. Il Laroi Cartier di oggi è un artista che, nonostante le sfide e gli ostacoli tipici del settore, sta costruendo il proprio percorso in modo graduale ma solido. Ho imparato a “navigare” in questo ambiente, rimanendo fedele alla mia visione e al contempo restando disponibile verso il prossimo. Nonostante le difficoltà, la mia priorità resta quella di crescere costantemente come artista e come persona».
Nel tuo ultimo progetto c’è un brano che ti è costato più fatica, emotivamente o tecnicamente, ma di cui sei più orgoglioso?
«Emotivamente il brano che mi ha richiesto maggiore sforzo è stato “Ma Vie”. È una traccia molto personale, dedicata a una relazione passata significativa. Abbiamo condiviso un percorso fatto di momenti incredibili, alti e bassi intensi, ma le nostre strade si sono separate. Mettere in musica un’esperienza così viva e toccante è stato impegnativo, ma ne sono fiero. Tecnicamente, invece, c’è un brano in uscita questo mese, “My Bro#2”: una collaborazione con altri artisti. Uno di loro, il rapper pugliese Yng Toto, è già noto nella scena per essere apparso nei videoclip di artisti come Baby Gang e Simba La Rue. La complessità è stata quella di unire e armonizzare le diverse visioni artistiche in un’unica traccia potente».
C’è un tema o un’esperienza che hai voluto includere in Cartier che non avevi mai avuto il coraggio di affrontare prima nella tua musica?
«Assolutamente sì: ho scelto di affrontare il tema dell’amore e della mia vita sentimentale. In passato sono sempre stato molto riservato, evitando di esporre la mia sfera privata nelle canzoni. In questo progetto ho sentito la necessità di superare questa reticenza, di mettermi a nudo davanti al pubblico. L’ho fatto per farmi capire appieno e, soprattutto, perché credo che condividere le mie emozioni e ciò che sto vivendo possa essere di aiuto a chi si trova in situazioni simili. La musica deve anche essere un veicolo di comunicazione e supporto reciproco».
Come vedi lo stato attuale del rap/trap in Italia? C’è qualcosa che ti piace e qualcosa che vorresti cambiare?
«Se potessi, cambierei l’approccio predominante alla musica. Credo che una larga fetta di artisti, soprattutto quelli sotto contratto con le major, sia spesso vincolata da logiche di mercato che vedono l’etichetta dettare agli artisti la linea su cosa scrivere, come muoversi e persino cosa cantare. Io ritengo che l’artista debba essere autentico e portare avanti le proprie idee e la propria visione. La cosa che, invece, apprezzo molto della scena attuale è il supporto reciproco tra gli emergenti: c’è una bella dinamica di collaborazione, di scambio di consigli sui brani e sulle strategie di marketing. Questo senso di comunità è fondamentale per chi sta costruendo il proprio percorso dal basso».
Dopo le prime attenzioni dei media, è cambiato qualcosa dentro di te?
«Le attenzioni dei giornali hanno agito come una potente iniezione di grinta e motivazione. È stata la conferma che il mio percorso, un traguardo che non avrei mai pensato di raggiungere, era sulla giusta strada. L’interesse dei media ha cambiato radicalmente la percezione esterna e, di conseguenza, il mio approccio: la gente ha iniziato a vedere in Laroi Cartier una visione seria e professionale, non più solo un ragazzo che canta per divertimento. Per me, è aumentato l’orgoglio e la voglia di elevare la qualità di ciò che produco».
C’è un aspetto della vita da artista che il pubblico non immagina o che è più difficile di quanto sembri sui social media?
«Assolutamente, la mia vita privata è estremamente diversa da come può apparire filtrata sui social media. Faccio cose che il pubblico, basandosi solo sui miei contenuti online, non immaginerebbe. Ho una routine normale, simile a quella di un qualsiasi altro ragazzo che frequenta la scuola o ha un lavoro standard. La difficoltà sta proprio nel bilanciare questa quotidianità “sconosciuta” con la “vita da artista” esposta. Nelle mie canzoni preferisco non svelare questo lato, ma è una parte essenziale e molto più complessa di quanto si possa percepire dal luccichio dei social».
*Studentessa dell’istituto Mandela di Castelnovo Monti
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